martedì 25 maggio 2021

Fortune


Quando mi alzai era già buio. Nonostante tutti i miei buoni propositi avevo dormito tutto il giorno.

Mi sentivo ancora talmente svuotata che sarei tornata volentieri a letto, così, solo per non fare nulla, per non dovermi sforzare, per non dovermi confrontare con la gente.

Avevo staccato la cornetta del telefono. 

“DRRRIIIIINNN” appena rimisi a posto il telefono. Non volevo rispondere ma dopo una settimana non me la sentivo di farmi ancora negare.

“Si...” dissi piano, magari avevano sbagliato numero.

“Ciao Anna” quasi mi urlò un perfetto sconosciuto. Misi giù e il telefono si rimise subito a suonare.

Lo feci ancora, e ancora, il telefono suonava e io staccavo.

Sembrava di essere in uno di quei programmi TV in cui il pubblico telefona per cercare di indovinare quanti fagioli ci sono in un vaso.

Forse in parte era proprio così.

Riprovai a rispondere.

“Pronto, Anna?” e anche questo chi cazzo era. Riattaccai e lasciai staccato il telefono. Il cellulare l'avevo buttato da un ponte qualche giorno prima, un bel tuffo nell'acqua e basta chiamate.

Provai a dare un'occhiata fuori, attraverso la finestra, guardando verso il basso, cercando di non farmi vedere.

Le troupe televisive avevano occupato gran parte della strada, mentre le forze dell'ordine cercavano di tenere indietro la folla di persone.

La follia totale tre piani più in giù.

In una settimana era cambiata la mia vita di tranquilla, magari anche troppo, impiegata del Comune.

Ero una fresca vincitrice al Superenalotto. In realtà non ero stata io la trionfatrice, ma il destino e un giocatore distratto, si erano occupati della faccenda.

Il tagliando vincente l'avevo trovato per terra, davanti ad una ricevitoria dove stavano festeggiando la grandiosa vittoria del primo premio. 


Era già presente il baraccone delle televisioni e tutto il resto. L'estrazione del giorno prima aveva baciato il mio allegro paesino. 

Non avevo mai giocato e non avrei giocato neppure quella volta. Successe che entrando nella tabaccheria per comprare delle marche da bollo, così, senza motivo, raccolsi una schedina caduta a terra.

Stavo guardando con curiosità il tagliandino girando e rigirandolo tra le dita senza riuscire a capirne i meccanismi quando un uomo dietro di me mi volle aiutare.

“Cosa giri per le mani, è un biglietto già giocato dell'estrazione di ieri. Vai a vedere quanto hai vinto, magari è vincente pure il tuo come quello fortunato di ieri sera...”.

“Va bene, vado a controllare se ho vinto” simulando una conoscenza che non c'era.

Dopo una fila interminabile finalmente arrivai alla cassa.

“Ciao Piero, mi daresti due marche da bollo da 14,62. Me le segni nel conto del comune”

“Va bene”.

“Ah, stavo per scordarmi. Guardami anche questo biglietto”.

“Certo, subito”.

Lo vidi mettere il tagliando dentro la macchina e sbiancare subito dopo. Si mise a sedere prima di parlarmi.

“Anna. Lo sai che hai vinto i cento milioni di Euro” lo disse piano, ma non abbastanza perché da quel giorno io vivo l'incubo.


La storia di come avevo trovato il biglietto mi aveva scatenato addosso una serie di persone che affermavano di averlo perso. E forse tra di loro c'era anche lo sfigato o per meglio dire l'idiota, ma non era affar mio ormai.

E un'altra serie di persone che volevano un prestito, una regalia, una donazione.

I Carabinieri mi presidiavano la casa e mi avevano già fatto capire che non sarebbero potuti rimanere per sempre.

Dovevo andarmene. Subito. Scappare. Cambiare vita. Ma per far cosa?

La mattina dopo mi vestii con abiti vecchi che stavo per buttare. Una parrucca usata una volta per un addio al nubilato, un cappello e un paio di ampi occhiali neri che ultimarono il mascheramento.

Uscii dal garage del palazzo.

Ero fuori. Nessuno mi aveva riconosciuta. Ma ora chi mi avrebbe indicato la mia strada per la vita.

Il primo segno mi aspettava all'ingresso laterale del Municipio. Stava di fronte a me. La segretaria rompiballe, che non sopportavo in ufficio, mi aspettava.

“Lo sapevo che saresti arrivata, sei più furba di quanto sembri... ma non abbastanza per me”

L'avrei strangolata. E lo feci fare qualche settimana più tardi. I soldi, tanti soldi, comprano tutto.

“La fortuna ti è arrivata senza neanche cercarla. Ti ho sempre invidiata, bella e ammirata dagli uomini. A me solo le briciole delle attenzioni che cadevano dalla tua scrivania”.

Era tutta rossa, paonazza, di rabbia e invidia, decisa a rigurgitarmi tutta la collera che provava contro di me, nella sua camiciona larga, stampata a grandi fiori, a coprire la stazza da mangiatrice notturna pentita.

“Non vorrai negarmi una piccola parte della tua fortuna, anche perché potrei andare a rivelare, alla moglie del nostro bel collega, che cosa fate quando siete soli”.

L'avrei fatta uccidere con gioia. 

“Fai quello che vuoi” risposi andando oltre.

Mi afferrò con una mano grossa e sudaticcia. La bava le scendeva da un bordo della bocca.

“Lasciami” urlai.

Questo richiamò il mio bell'uomo sposato che arrivò a salvarmi. Prima di ogni incontro sessuale mi prometteva che avrebbe mollato la moglie. Ma sapevo che non lo avrebbe fatto mai.

Lo feci uccidere volentieri, non prima però di farmi promettere che avrebbe mollato la consorte. Avrebbe giurato qualsiasi cosa legato a quella sedia in cantina.

Andai in ufficio a ritirare alcuni oggetti a cui tenevo. Piccole sciocchezze da donne.

E lì incontrai la responsabile dell'ufficio. Sapeva certo della mia fortuna, ma non mi volle dare soddisfazione. Mi riprese però per il ritardo nell'entrata al lavoro. 

Davanti a tutti, nel tono plateale in cui si crogiolava, ma con maggiore enfasi.

Comunque, nel suo personaggio. Era lei la moglie del mio bell'uomo. E qualcosa aveva capito che non andava con il marito. Magari anche solo dai mal di testa del consorte dopo i nostri incontri.

Era una donnetta, inutile e dannosa, con la sua vita da lacchè di politici, pure loro inutili e dannosi, che la comandavano.

Fu la prima che feci eliminare. Sapevo che avrei fatto un favore a molta gente. E molti al suo funerale, ne sono sicuro, gioirono di non averla più attorno.

Nell'andarmene incontrai il Sindaco.

“Cara Anna, mi congratulo per la tua vincita. Spero ti ricorderai del tuo Sindaco quando sarà il momento, magari ci scappa un bel aumento di livello”.

Questa domanda mi spiazzò, i politici sanno essere poco chiari pur facendo sembrare il contrario.

In conclusione, non avevo capito se volesse un contributo per il comune, per il partito o per sé. Nel dubbio gli risposi alla sua maniera.

“Mi ricorderò, mi ricorderò certamente di darti il tuo avere”.

Pagai doppio per lui. Prima lo feci rapire e tenere a pane e acqua per un mese. 

Rimase in vita fino a quando rivelò che i soldi che incassava per il partito se li teneva lui.


Me ne andai.

Pensando che... forse quei soldi... quella fortuna... sarebbero stati utilmente utilizzati.

Qualche piccola idea mi stava già arrivando.

Non lo sapevo ancora, ma sarei finita con l'aiutare il mondo a liberarsi dei propri parassiti. 

Cominciando dai miei.


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