giovedì 21 maggio 2009

L’ARENA

 

Beppino aveva fortemente voluto presenziare all’inaugurazione della nuova Arena.

Il vecchio cinema/teatro che dopo tante fatiche e molti rinvii era finalmente tornato, se non ai fasti, almeno alla splendore che aveva vissuto tanti anni prima. Beppino ricordava bene cos’era accaduto nei lontani anni ’60. Era arrivata la televisione nelle case degli italiani. La televisione che aveva rubato sempre più spettatori al teatro. Fino ad abbandonarlo, prima diventando solo un cinematografo estivo, poi degradandolo sino a renderlo utile unicamente come sede dei giardinieri comunali. L’aveva visto soffocare sotto alle piante e agli arbusti lasciati impunemente liberi di crescere. Erano invecchiati insieme, nel corpo come nello spirito, ed entrambi dimenticati. La vecchia struttura vista dal viale delle terme, con l'intonaco scomparso in larghe zone, sembrava ormai uno scrostato e desueto silos di granaglie, residuo di una archeologia industriale rimasta eretta in mezzo alle modernità.

Beppino sempre seduto sulla panchina sotto alla struttura, poteva sembrare abbandonato da qualche parente poco attento. Ma così non era. La sua era una scelta. Le sue storie di grandi allestimenti teatrali erano sempre tra le più gradite quando ci si ritrovava e i nipoti lo cercavano per farsi raccontare della sua vita.

E quella sera li aveva convinti a recarsi assieme a lui. Solo Giovanni, il nipote maggiore, non si vedeva, era giovane e con una nuova fidanzata con due gambe che nessuna arena avrebbe mai potuto eguagliare. Però lo avrebbe rimproverato, almeno un po’, e ne avrebbero riso assieme. Le luci dell’illuminazione presero sempre più il sopravvento sulla luce naturale che andava scemando insieme al sole settembrino che si nascondeva all’orizzonte. E di pari passo l’emozione di Beppino saliva facendolo sudare nonostante la frescura del tramonto. La serata era dedicata alla riapertura dello storico complesso appena ristrutturato “L’edificio concepito come teatro estivo all’aperto…” iniziò il primo dei relatori.

Si susseguirono poi testimonianze e discorsi politici “…durante il secondo conflitto mondiale, fu gravemente danneggiato…”.

Roboanti politici e presidenti di una qualche azienda, non mancarono di tessere le proprie lodi nell’aver trovato i soldi. Storici affermati descrissero l’accuratezza dell’opera di restauro eseguita. Tutti parlavano del presente e nessuno del passato. E dei momenti della costruzione? Delle fatiche fatte in quel periodo storico? Beppino era deluso. Si parlava solo dell’oggi. Voleva andarsene. Stava quasi per farlo ma la nipote accanto gli disse di aspettare, di portare pazienza. Ormai dovevano rimanere. La serata non era finita. Tutto poteva ancora succedere. Ma per Beppino, si diceva sempre fra sé e sé, il saldo stava per arrivare, l’epoca delle meraviglie era dimenticata, a cent’anni rimanevano solo le sorprese spiacevoli.

Fino a che salì sul palco il nipote Giovanni, quello con la nuova fidanzata. Si chiese cosa accidente facesse la sopra invece di godersela con la fidanzata. L’avrebbe davvero sgridato.

Giovanni incominciò a parlare “questa sera siamo qua per onorare una grande persona”.

“bravi siete stati a lasciare sospeso ogni riferimento rispetto al passato dell’arena, ormai testimoni diretti ce ne sono ben pochi ed è stato giusto lasciare al nostro testimone più rappresentativo…” Beppino fissava inebetito il nipote che parlava al microfono “… a chi ha curato e seguito gli importanti lavori della costruzione. Eseguiti per di più in un periodo storico in cui un fascio male apposto su una colonna faceva perdere il lavoro e la libertà”

Beppino era incollato alla sedia, stringeva le braccia delle nipoti a destra e a sinistra. Le serrava talmente forte da far loro male.

“L’edificio fu costruito tra il 1933 ed il 1935, In un periodo in cui chi aveva lavorato per loro diventava di quella pasta, e veniva di conseguenza trattato.”

“Quando invece in locali segreti dello scantinato trovarono rifugio tanti nemici del regime. Costruiti sfidando le gerarchie fasciste. Stanze che salvarono la vita a innumerevoli persone. Spazi che quando furono scoperti costarono al progettista prima la galera e poi la deportazione in un campo di concentramento in Germania.”

“Quanto ha sofferto in quegli anni, e quante storie ci ha raccontato per non farci dimenticare, cercando di insegnarci le sue idee senza essersi mai pentito di quello che aveva fatto”.

Beppino era in trance. Ricordava tutte le storie che aveva raccontato ai nipoti con la paura di diventare noioso. I sensi concentrati in un unico fascio di nervi. Dopo tanti anni di sofferenza prima e di indifferenza poi. Quando ormai non aspettava altro che il grande passo. In quella sera di tarda estate suo nipote gli stava dedicando la sua serata.

“.sono orgoglioso di averlo ascoltato e di esserne il nipote” finì Giovanni invitando tutti ad alzarsi e ad applaudirlo.

Beppino venne inquadrato dalle luci e quando l’applauso divenne assordante, infine, si alzò per goderne appieno. E mentre si alzava desiderò che tutto si fermasse a quel momento.

In quel lungo applauso.