giovedì 14 luglio 2022

Turno di Notte 2022 - Mountain Bike

versione iniziata alle 22 del 9 luglio e servita alle ore 3 del 10 luglio 2022
per il concorso "Turno di Notte"

Mountain Bike – Stefano Samorì

DA UN INCIPIT DI CARLO LUCARELLI
Non è facile raccontare una storia meravigliosa.
Anche perché non è detto che la meraviglia scaturisca soltanto dalle cose belle.
Ma bisogna farlo, perché ci sono cose che potranno anche essere incredibili e fantastiche, piene di bellezza o di orrore, di commozione e dolcezza, così meravigliose da troncare il fiato nella bocca spalancata, ma se nessuno le conosce è come se non fossero mai esistite.
Però non è facile raccontarle.
Da dove cominciare?
Ecco, in questo caso, per una volta tanto, forse è necessario partire dalla fine.

Mi si prospettava un’altra sera passata litigando con mia moglie appena rientrato in casa. Il lavoro mi faceva fare tardi ma lei pensava che avessi un’altra con la scusa del lavoro.
Non sapevo più come giustificarmi, il lavoro nella nuova azienda si era rivelato più impegnativo del previsto. L’esigenza di mettermi in pari con gli altri mi portava a fare tardi per studiare i progetti che non conoscevo ancora. Ma questo non piaceva a mia moglie, soprattutto dopo che aveva visto una collega, molto giovane e molto vistosa a sentir lei, uscire poco prima di me una sera che era venuta a controllare se ero davvero in ufficio. Casuale certo, nella struttura eravamo in centinaia di impiegati, ma difficile da far comprendere a qualcuno preso dalla gelosia.

Il giorno dopo, mentre presi una via diversa per evitare un incidente, notai una mountain bike completamente dipinta di bianco appesa a un cartello di fianco alla strada. Passavo da quella strada ogni tanto ma la bicicletta agghindata in quella maniera non l’avevo mai vista.
Cominciai a deviare in quella direzione, pur allungando il percorso verso casa, pensando inconsciamente che passando avrei capito il significato di quella...”cosa”.
Parlandone in giro venne poi fuori che in quella posizione doveva essere stato investito qualcuno in bicicletta, con esiti per lui fatali.
Qualcuno, la moglie, non sapevo ancora chi, aveva poi deciso di fargli onore o qualcosa del genere dipingendo la bicicletta di bianco, e appendendola al cartello stradale più vicino.
Ormai erano mesi che la bici era presente e nessuno l’aveva tolta da quel trespolo senza nome.
Neanche la Polizia Municipale, con evidenza, si era sentita di far rispettare il codice della strada tenendo pulita la segnaletica.

Intanto i mesi passavano. Mia moglie continuava ad accusarmi di essere un porco, ma non avendo prove, e non potevano essercene, non mi lasciava. 
Nel frattempo avevo fatto delle ricerche e trovato articoli di giornali online che spiegavano l’incidente. Ma niente d’altro, fino a che un giorno trovai la bicicletta per terra, sdraiata, abbandonata.
Ripassando al ritorno e trovandola ancora in quella posizione decisi di fermarmi per fare qualcosa. Che cosa poi non lo sapevo ancora, ma qualcosa dovevo fare, anche io ero solito allenarmi in bicicletta per le stesse strade e fin dal principio ero stato naturalmente solidale con questa persona che sarei potuto essere io in un’altra possibile direzione del tempo.
Per la prima volta vedevo la bicicletta da vicino, quasi con paura mi rendevo conto che un dovere mi imponeva di rimetterla al suo posto, come se mi trovassi in un cimitero di fronte a una lapide danneggiata a cui potevo e dovevo por rimedio.
Stranamente poteva sembrare tranciato il fil di ferro che era stato utilizzato per fissarla, come se qualcuno l’avesse di proposito abbattuta, direi quasi sfregiata per spregio, ma non aveva senso, non poteva essere stato che il tempo trascorso e la ruggine.
In qualche maniera, con il filo rimanente, la riuscii a metterla almeno appoggiata in piedi, ma certo non sarebbe durata come sistemazione. Sarei dovuto tornare per sistemarla meglio.

Il giorno successivo mi premunii di fil di ferro e tenaglie e al ritorno dal lavoro misi al suo posto la bicicletta. Mentre stavo sistemando qualcuno passando mi suonò con il clacson. Lo presi come un plauso al lavoro fatto.

L’indomani non riuscii ad andare al lavoro perché mia moglie, in una crisi d’ira e di gelosia, mi aveva lanciato un piatto causandomi un taglio in fronte.

Quando il giorno successivo tornai al lavoro, trovai la bicicletta nuovamente a terra. Stavolta non poteva essere stata l’usura. Mi fermai contromano per controllare trovando tagliato il filo di ferro e la bicicletta spostata verso il centro della strada, come per farla schiacciare. La recuperai per cercare di rimetterla a posto, e mentre ero intento a capire come fare un clacson mi fece sobbalzare. L’auto che aveva suonato frenò con tutto l’impeto e il rumore che poteva concedergli il modello. Mi voltai per capire che diavolo stesse succedendo trovandomi di fronte una donna che stava scendendo dall’auto lasciata in mezzo alla strada.
Sbraitava di lasciar stare la bicicletta di quel maledetto di suo marito. Mi si avvicinò fino a cercare di strapparmela di mano, cosa che non accettai.
Visto che non riusciva si buttò a terra piangendo sconsolata, con le mani comunque ben ferme su una ruota della bicicletta mentre io tenevo le mani sull’altra ruota. Mi cominciavo però a sentire strano con quella donna, che forse aveva più diritto di me su quella lapide laica. Non capivo perché la moglie avesse detto quello che aveva detto sul marito.
Non sapevo davvero cosa fare, fino a che scese dall’auto un’altra donna. Mi raccontò che sua sorella Margherita, così si chiamava la donna, dopo la morte del marito e dopo aver costruito questo monumento in suo ricordo, era venuta in possesso dopo molti mesi di un cellulare che il marito teneva in ufficio e che si erano dimenticati di riportarle. 
Sul telefono aveva trovato dei messaggi nei quali era esplicito che il marito, con la scusa del girare in bicicletta, in realtà andava a trovare un’altra donna, collega d’ufficio.
Lasciai la ruota come se scottasse.
Mi scusai con Margherita e le chiesi se voleva che fossi io a far sparire la bicicletta.
La sorella mi guardò facendomi capire che bastava così.
Tornai a casa e mi scusai con mia moglie.
Non avrei più fatto tardi in ufficio la sera.
Non ha mai capito il perché del mio cambiamento.