domenica 27 luglio 2025

Turno di Notte 2025 - Ragazze

versione iniziata alle 22 del 26 luglio e servita alle ore 3 del 27 luglio 2025
per il concorso "Turno di Notte"

Ragazze – Stefano Samorì

DA UN INCIPIT DI CARLO LUCARELLI
Ecco l'incipit del XVI concorso Turno di Notte 2025:
Come fai a dire "e l'ultima":
l'ultima volta, le ultime parole, l'ultima qualunque cosa?
La prima sì, prima non c'era, appartiene al passato e quello lo conosci,
ma l'ultima riguarda il futuro, e quello chissà. Anche a giurarlo, a gridarlo,
con decisione e forza, spietata, ostinata, disparata, l'ultima, l'ultima, l'ultima.
Ma sarà vero?

Quel mattino di maggio poteva certamente nascere migliore di come si palesò all’edicolante che come solito era arrivato di buon mattino alla propria attività. Erano finite le levatacce delle fredde mattine invernali e i primi tepori dell’estate stavano manifestandosi. Purtroppo qualcosa quella mattina non sarebbe andato come si aspettava. Davanti all’edicola trovò il corpo di una giovane donna, che pareva dormire come era già successo quando si era trovato un poveraccio puzzolente, che aveva cercato riparo sotto al tendone dell’attività. Ma la giovane donna non respirava e mentre le girava attorno sotto ai suoi piedi sentiva uno strano appiccichio vischioso.

Il commissario di polizia arrivò appena possibile. Il caso del killer delle ragazze era il suo. Intanto era ormai giorno fatto. Nel frattempo si era formato un capannello di persone curiose di capire o curiose a prescindere, molti erano clienti dell’edicola passati ad acquistare il giornale con le ultime notizie di stampa e passati all’ultima notizia in diretta.

Dopo poco arrivarono i primi giornalisti armati di telecamere e microfoni per la succulenta diretta mattutina. Intervistarono il giornalaio chiedendogli cosa aveva provato nel trovarsi di fronte a questa povera ragazza certamente vittima della società e del sistema. Finalmente arrivarono sufficienti poliziotti per poter transennare, anche solo con il nastro bianco e rosso, la zona, e cercare inutilmente di allontanare gli umarell verso i cantieri.

Infine arrivò il medico legale che assieme al commissario non poté che constatare che la ragazza era un’altra vittima del “killer delle ragazze”, come era stato battezzato l’assassino.


Che soddisfazione che la televisione trasmetta il video della diretta del ritrovamento della mia vittima. Lo sarebbe ancora di più se avessero capito il perché lo faccio. Posso così vedere l’amico commissario mentre parla con un'altra persona, sarà il medico legale di turno, che non sa cosa fare e si guarda attorno sperando di vedermi. Brancolano nel buio e non hanno nessuna speranza di trovarmi. Sarebbe meglio che abbassassi il volume, in fondo non dicono niente che abbia un senso neanche gli esperti nello studio, parlano, parlano, devono riempire il tempo, fino ad arrivare a ipotizzare assurde teorie su “complotti dei poteri forti”.

Mi piacerebbe entrare nella diretta e rivelare i motivi delle loro “assurde morti”, c’è anche un numero verde da chiamare, certo sarebbe proprio da stupidi e credono che lo sia perché mi invitano a comporre il numero. Ma ecco che suona il telefono, senza limiti al trash, fanno passare tutto, più è assurdo e più vende. Sento parlare una voce maschile, prima un po’ titubante, poi visto che tutti stanno zitti e aspettano, più sicura di sé, che afferma di essere lui l’assassino. Questa affermazione mi induce in un sorriso, e farà sollazzare tutti, anche sviarli, in attesa della prossima vittima.

Mettono in comunicazione il commissario, che naturalmente non sa di essere in diretta nazionale, vedo che risponde al telefono, per cui tutti sentiamo che gli chiede di che calibro è la pistola. Il tipo al telefono ritorna a balbettare, poi non si sente più niente, e infine arriva con un urlo liberatorio con un numero 38 special. Risposta sbagliata, vorrei dire al tipo.

Il commissario chiude la comunicazione bruscamente con il tipo che rimane in diretta nazionale, ma avendo sentito il clic pensa di essere da solo e parte con una serie di bestemmie contro internet e Wikipedia. Anche in studio non hanno coraggio di lasciare aperta la comunicazione. Tutto molto comico, non avevo considerato questo lato del mio agire. Spengo la televisione, devo studiare come procedere con la prossima candidata.

Dopo una settimana al commissario arriva una nuova telefonata, sta facendo colazione ma lascia tutto sul bancone del bar. Come paventava sarebbe successo, sembra che abbiano trovato un’altra vittima. In fondo sperava si sarebbe fermato, ad essere fortunati il killer avrebbe potuto avere avuto un incidente stradale. Ormai gli sono tutti contro, questo dannato killer delle ragazze, tutte giovani e avvenanti, ha colpito l’opinione pubblica, ma non sa che pesci pigliare visto che, a parte le caratteristiche fisiche, niente sembra collegare le vittime.


La trappola è innescata. Il mio nuovo profilo su Tinder è veramente strafigo. Adesso con AI è sempre più facile generare immagini di persone bellissime. Concludo il profilo con frasi tenere da cioccolatini e come per le altre volte non avrò che da scegliere la prossima vittima.

La sera successiva Elena si è preparata e le pare di essere perfetta. Tacco alto, gonna corta certo il fisico non le manca. Vuole fare una bella impressione sul tipo che ha conosciuto su Tinder, molto bello, curato, affascinante e non vede l’ora di incontrarlo. Si devono vedere in via Tal di Tali, per poi andare in un esclusivo ristorante a sorpresa, prenotato, da vero signore, per loro due. Ha solo un cruccio, nel profilo ha indicato che è sposata, lo fa sempre per non avere problemi se non le piace chi incontra, così che non essendo libera ha una scusa per andarsene e sparire, a maggior ragione perché sembra che le donne libere non siano ricercate su Tinder. E solo un dubbio, certo, e si vuole comportare come al solito, ma questa persona pare davvero speciale e quando arriva in via Tal dei Tali e lo vede, pur da lontano, pur in penombra, e lo vede così bello con un mazzo di rose per lei, decide di tornare un attimo sui suoi passi, cambiare lo stato sul social e scrivere un nuovo messaggio rivelandogli che è libera e single come lui, così salvandosi da morte certa.

Nel frattempo non riesce a vedere che il tipo con le rose viene raggiunto da una donna, per poi andare via assieme. Il killer, già pronto, vicino alla via dell’incontro, legge il messaggio e tutto il suo piano va in fumo, a queste condizioni non può più agire e se ne deve andare, senza più neppure rispondere a Elena, ormai rivelatasi migliore di quello che sembrasse.


Dopo il fallimento del progetto Elena, il killer comincia a nutrire dei dubbi sul proprio operato, su quella che ritiene una missione per purificare il mondo. Vaga un po' per le vie cittadine finché passando vicino a una chiesa, decide di entrarci cercando un prete per confessarsi e chiedere, nel segreto del confessionale, un parere sulla missione che ha intrapreso. Il prete cerca di capire di cosa stia parlando, riguardo al ravvedere le donne dal circuire gli uomini portandoli al peccato. Altro non si sente di dire. Ma tanto basta al prete che dice di non preoccuparsi, perché il giudizio e l’eventuale espiazione delle colpe spettano a Dio onnipotente e non agli uomini. Cara Federica, così mi sembra hai detto di chiamarti, puoi andare in pace e recitare tre Ave Maria.


Federica esce dalla chiesa in evidente imbarazzo su quello che pensava fosse il suo compito nella vita. Devo dar retta al prete e smetterla, o comunque proseguire? Mentre rimugina sul futuro della sua vita, nota una coppia che passeggia davanti a lei, lungo la medesima strada. Sembrano toccarsi quasi per caso, in piccoli momenti pare che le loro dita si sfiorino, e solo nelle zone in ombra dai lampioni, si prendono per mano. Qualcosa l’ha colpita, forse l’andatura particolare dell’uomo. Arrivano a un portone, Federica si ferma per non raggiungerli e si siede in una panchina al buio nel giardino di fronte. Intanto i due si guardano attorno un po’ furtivi, si avvicinano al portone e sotto la volta, ancora più in ombra, si danno un bacio veloce sulle labbra. Pur lontana li vede sorridere complici. Lui inserisce la chiave, apre l’anta e appena prima di entrare l’attira a se e la bacia più a lungo. Lei si discosta veloce, fa dei gesti come a dire, che fai, ma poi sorride entusiasta, lo saluta felice e se ne va.


Mentre Federica sta fissando la giovane donna che va via, non si avvede che le si è avvicinato un uomo che le chiede se abbia bisogno di aiuto per entrare, e se suo marito già rientrato che avrebbe bisogno di chiedergli della pulizia delle scale del condominio, a suo parere, non eseguite ad arte.

Federica lo guarda e in maniera pacata gli conferma di averlo appena visto entrare.

Non ha più dubbi, non può fermarsi, Dio capirà se colpirà un’ultima volta.

giovedì 14 luglio 2022

Turno di Notte 2022 - Mountain Bike

versione iniziata alle 22 del 9 luglio e servita alle ore 3 del 10 luglio 2022
per il concorso "Turno di Notte"

Mountain Bike – Stefano Samorì

DA UN INCIPIT DI CARLO LUCARELLI
Non è facile raccontare una storia meravigliosa.
Anche perché non è detto che la meraviglia scaturisca soltanto dalle cose belle.
Ma bisogna farlo, perché ci sono cose che potranno anche essere incredibili e fantastiche, piene di bellezza o di orrore, di commozione e dolcezza, così meravigliose da troncare il fiato nella bocca spalancata, ma se nessuno le conosce è come se non fossero mai esistite.
Però non è facile raccontarle.
Da dove cominciare?
Ecco, in questo caso, per una volta tanto, forse è necessario partire dalla fine.

Mi si prospettava un’altra sera passata litigando con mia moglie appena rientrato in casa. Il lavoro mi faceva fare tardi ma lei pensava che avessi un’altra con la scusa del lavoro.
Non sapevo più come giustificarmi, il lavoro nella nuova azienda si era rivelato più impegnativo del previsto. L’esigenza di mettermi in pari con gli altri mi portava a fare tardi per studiare i progetti che non conoscevo ancora. Ma questo non piaceva a mia moglie, soprattutto dopo che aveva visto una collega, molto giovane e molto vistosa a sentir lei, uscire poco prima di me una sera che era venuta a controllare se ero davvero in ufficio. Casuale certo, nella struttura eravamo in centinaia di impiegati, ma difficile da far comprendere a qualcuno preso dalla gelosia.

Il giorno dopo, mentre presi una via diversa per evitare un incidente, notai una mountain bike completamente dipinta di bianco appesa a un cartello di fianco alla strada. Passavo da quella strada ogni tanto ma la bicicletta agghindata in quella maniera non l’avevo mai vista.
Cominciai a deviare in quella direzione, pur allungando il percorso verso casa, pensando inconsciamente che passando avrei capito il significato di quella...”cosa”.
Parlandone in giro venne poi fuori che in quella posizione doveva essere stato investito qualcuno in bicicletta, con esiti per lui fatali.
Qualcuno, la moglie, non sapevo ancora chi, aveva poi deciso di fargli onore o qualcosa del genere dipingendo la bicicletta di bianco, e appendendola al cartello stradale più vicino.
Ormai erano mesi che la bici era presente e nessuno l’aveva tolta da quel trespolo senza nome.
Neanche la Polizia Municipale, con evidenza, si era sentita di far rispettare il codice della strada tenendo pulita la segnaletica.

Intanto i mesi passavano. Mia moglie continuava ad accusarmi di essere un porco, ma non avendo prove, e non potevano essercene, non mi lasciava. 
Nel frattempo avevo fatto delle ricerche e trovato articoli di giornali online che spiegavano l’incidente. Ma niente d’altro, fino a che un giorno trovai la bicicletta per terra, sdraiata, abbandonata.
Ripassando al ritorno e trovandola ancora in quella posizione decisi di fermarmi per fare qualcosa. Che cosa poi non lo sapevo ancora, ma qualcosa dovevo fare, anche io ero solito allenarmi in bicicletta per le stesse strade e fin dal principio ero stato naturalmente solidale con questa persona che sarei potuto essere io in un’altra possibile direzione del tempo.
Per la prima volta vedevo la bicicletta da vicino, quasi con paura mi rendevo conto che un dovere mi imponeva di rimetterla al suo posto, come se mi trovassi in un cimitero di fronte a una lapide danneggiata a cui potevo e dovevo por rimedio.
Stranamente poteva sembrare tranciato il fil di ferro che era stato utilizzato per fissarla, come se qualcuno l’avesse di proposito abbattuta, direi quasi sfregiata per spregio, ma non aveva senso, non poteva essere stato che il tempo trascorso e la ruggine.
In qualche maniera, con il filo rimanente, la riuscii a metterla almeno appoggiata in piedi, ma certo non sarebbe durata come sistemazione. Sarei dovuto tornare per sistemarla meglio.

Il giorno successivo mi premunii di fil di ferro e tenaglie e al ritorno dal lavoro misi al suo posto la bicicletta. Mentre stavo sistemando qualcuno passando mi suonò con il clacson. Lo presi come un plauso al lavoro fatto.

L’indomani non riuscii ad andare al lavoro perché mia moglie, in una crisi d’ira e di gelosia, mi aveva lanciato un piatto causandomi un taglio in fronte.

Quando il giorno successivo tornai al lavoro, trovai la bicicletta nuovamente a terra. Stavolta non poteva essere stata l’usura. Mi fermai contromano per controllare trovando tagliato il filo di ferro e la bicicletta spostata verso il centro della strada, come per farla schiacciare. La recuperai per cercare di rimetterla a posto, e mentre ero intento a capire come fare un clacson mi fece sobbalzare. L’auto che aveva suonato frenò con tutto l’impeto e il rumore che poteva concedergli il modello. Mi voltai per capire che diavolo stesse succedendo trovandomi di fronte una donna che stava scendendo dall’auto lasciata in mezzo alla strada.
Sbraitava di lasciar stare la bicicletta di quel maledetto di suo marito. Mi si avvicinò fino a cercare di strapparmela di mano, cosa che non accettai.
Visto che non riusciva si buttò a terra piangendo sconsolata, con le mani comunque ben ferme su una ruota della bicicletta mentre io tenevo le mani sull’altra ruota. Mi cominciavo però a sentire strano con quella donna, che forse aveva più diritto di me su quella lapide laica. Non capivo perché la moglie avesse detto quello che aveva detto sul marito.
Non sapevo davvero cosa fare, fino a che scese dall’auto un’altra donna. Mi raccontò che sua sorella Margherita, così si chiamava la donna, dopo la morte del marito e dopo aver costruito questo monumento in suo ricordo, era venuta in possesso dopo molti mesi di un cellulare che il marito teneva in ufficio e che si erano dimenticati di riportarle. 
Sul telefono aveva trovato dei messaggi nei quali era esplicito che il marito, con la scusa del girare in bicicletta, in realtà andava a trovare un’altra donna, collega d’ufficio.
Lasciai la ruota come se scottasse.
Mi scusai con Margherita e le chiesi se voleva che fossi io a far sparire la bicicletta.
La sorella mi guardò facendomi capire che bastava così.
Tornai a casa e mi scusai con mia moglie.
Non avrei più fatto tardi in ufficio la sera.
Non ha mai capito il perché del mio cambiamento.

martedì 25 maggio 2021

Fortune


Quando mi alzai era già buio. Nonostante tutti i miei buoni propositi avevo dormito tutto il giorno.

Mi sentivo ancora talmente svuotata che sarei tornata volentieri a letto, così, solo per non fare nulla, per non dovermi sforzare, per non dovermi confrontare con la gente.

Avevo staccato la cornetta del telefono. 

“DRRRIIIIINNN” appena rimisi a posto il telefono. Non volevo rispondere ma dopo una settimana non me la sentivo di farmi ancora negare.

“Si...” dissi piano, magari avevano sbagliato numero.

“Ciao Anna” quasi mi urlò un perfetto sconosciuto. Misi giù e il telefono si rimise subito a suonare.

Lo feci ancora, e ancora, il telefono suonava e io staccavo.

Sembrava di essere in uno di quei programmi TV in cui il pubblico telefona per cercare di indovinare quanti fagioli ci sono in un vaso.

Forse in parte era proprio così.

Riprovai a rispondere.

“Pronto, Anna?” e anche questo chi cazzo era. Riattaccai e lasciai staccato il telefono. Il cellulare l'avevo buttato da un ponte qualche giorno prima, un bel tuffo nell'acqua e basta chiamate.

Provai a dare un'occhiata fuori, attraverso la finestra, guardando verso il basso, cercando di non farmi vedere.

Le troupe televisive avevano occupato gran parte della strada, mentre le forze dell'ordine cercavano di tenere indietro la folla di persone.

La follia totale tre piani più in giù.

In una settimana era cambiata la mia vita di tranquilla, magari anche troppo, impiegata del Comune.

Ero una fresca vincitrice al Superenalotto. In realtà non ero stata io la trionfatrice, ma il destino e un giocatore distratto, si erano occupati della faccenda.

Il tagliando vincente l'avevo trovato per terra, davanti ad una ricevitoria dove stavano festeggiando la grandiosa vittoria del primo premio. 


Era già presente il baraccone delle televisioni e tutto il resto. L'estrazione del giorno prima aveva baciato il mio allegro paesino. 

Non avevo mai giocato e non avrei giocato neppure quella volta. Successe che entrando nella tabaccheria per comprare delle marche da bollo, così, senza motivo, raccolsi una schedina caduta a terra.

Stavo guardando con curiosità il tagliandino girando e rigirandolo tra le dita senza riuscire a capirne i meccanismi quando un uomo dietro di me mi volle aiutare.

“Cosa giri per le mani, è un biglietto già giocato dell'estrazione di ieri. Vai a vedere quanto hai vinto, magari è vincente pure il tuo come quello fortunato di ieri sera...”.

“Va bene, vado a controllare se ho vinto” simulando una conoscenza che non c'era.

Dopo una fila interminabile finalmente arrivai alla cassa.

“Ciao Piero, mi daresti due marche da bollo da 14,62. Me le segni nel conto del comune”

“Va bene”.

“Ah, stavo per scordarmi. Guardami anche questo biglietto”.

“Certo, subito”.

Lo vidi mettere il tagliando dentro la macchina e sbiancare subito dopo. Si mise a sedere prima di parlarmi.

“Anna. Lo sai che hai vinto i cento milioni di Euro” lo disse piano, ma non abbastanza perché da quel giorno io vivo l'incubo.


La storia di come avevo trovato il biglietto mi aveva scatenato addosso una serie di persone che affermavano di averlo perso. E forse tra di loro c'era anche lo sfigato o per meglio dire l'idiota, ma non era affar mio ormai.

E un'altra serie di persone che volevano un prestito, una regalia, una donazione.

I Carabinieri mi presidiavano la casa e mi avevano già fatto capire che non sarebbero potuti rimanere per sempre.

Dovevo andarmene. Subito. Scappare. Cambiare vita. Ma per far cosa?

La mattina dopo mi vestii con abiti vecchi che stavo per buttare. Una parrucca usata una volta per un addio al nubilato, un cappello e un paio di ampi occhiali neri che ultimarono il mascheramento.

Uscii dal garage del palazzo.

Ero fuori. Nessuno mi aveva riconosciuta. Ma ora chi mi avrebbe indicato la mia strada per la vita.

Il primo segno mi aspettava all'ingresso laterale del Municipio. Stava di fronte a me. La segretaria rompiballe, che non sopportavo in ufficio, mi aspettava.

“Lo sapevo che saresti arrivata, sei più furba di quanto sembri... ma non abbastanza per me”

L'avrei strangolata. E lo feci fare qualche settimana più tardi. I soldi, tanti soldi, comprano tutto.

“La fortuna ti è arrivata senza neanche cercarla. Ti ho sempre invidiata, bella e ammirata dagli uomini. A me solo le briciole delle attenzioni che cadevano dalla tua scrivania”.

Era tutta rossa, paonazza, di rabbia e invidia, decisa a rigurgitarmi tutta la collera che provava contro di me, nella sua camiciona larga, stampata a grandi fiori, a coprire la stazza da mangiatrice notturna pentita.

“Non vorrai negarmi una piccola parte della tua fortuna, anche perché potrei andare a rivelare, alla moglie del nostro bel collega, che cosa fate quando siete soli”.

L'avrei fatta uccidere con gioia. 

“Fai quello che vuoi” risposi andando oltre.

Mi afferrò con una mano grossa e sudaticcia. La bava le scendeva da un bordo della bocca.

“Lasciami” urlai.

Questo richiamò il mio bell'uomo sposato che arrivò a salvarmi. Prima di ogni incontro sessuale mi prometteva che avrebbe mollato la moglie. Ma sapevo che non lo avrebbe fatto mai.

Lo feci uccidere volentieri, non prima però di farmi promettere che avrebbe mollato la consorte. Avrebbe giurato qualsiasi cosa legato a quella sedia in cantina.

Andai in ufficio a ritirare alcuni oggetti a cui tenevo. Piccole sciocchezze da donne.

E lì incontrai la responsabile dell'ufficio. Sapeva certo della mia fortuna, ma non mi volle dare soddisfazione. Mi riprese però per il ritardo nell'entrata al lavoro. 

Davanti a tutti, nel tono plateale in cui si crogiolava, ma con maggiore enfasi.

Comunque, nel suo personaggio. Era lei la moglie del mio bell'uomo. E qualcosa aveva capito che non andava con il marito. Magari anche solo dai mal di testa del consorte dopo i nostri incontri.

Era una donnetta, inutile e dannosa, con la sua vita da lacchè di politici, pure loro inutili e dannosi, che la comandavano.

Fu la prima che feci eliminare. Sapevo che avrei fatto un favore a molta gente. E molti al suo funerale, ne sono sicuro, gioirono di non averla più attorno.

Nell'andarmene incontrai il Sindaco.

“Cara Anna, mi congratulo per la tua vincita. Spero ti ricorderai del tuo Sindaco quando sarà il momento, magari ci scappa un bel aumento di livello”.

Questa domanda mi spiazzò, i politici sanno essere poco chiari pur facendo sembrare il contrario.

In conclusione, non avevo capito se volesse un contributo per il comune, per il partito o per sé. Nel dubbio gli risposi alla sua maniera.

“Mi ricorderò, mi ricorderò certamente di darti il tuo avere”.

Pagai doppio per lui. Prima lo feci rapire e tenere a pane e acqua per un mese. 

Rimase in vita fino a quando rivelò che i soldi che incassava per il partito se li teneva lui.


Me ne andai.

Pensando che... forse quei soldi... quella fortuna... sarebbero stati utilmente utilizzati.

Qualche piccola idea mi stava già arrivando.

Non lo sapevo ancora, ma sarei finita con l'aiutare il mondo a liberarsi dei propri parassiti. 

Cominciando dai miei.


Merletti e segreti (o viceversa)

 


Aspettavamo per cena una coppia con il figlio. Qualcuno lo aveva descritto problematico, e andava alla scuola elementare con il nostro. Non eravamo amici, ma solo genitori di compagni di classe delle elementari.

Ci si vedeva all’ingresso e all’uscita della scuola. Mia moglie aveva frequentata la madre del compagno solo per qualche riunione scolastica e niente chat di whats, vietata dopo l’ennesimo equivoco scatenatovi.

Parevano un po’ spaesati, soprattutto la madre, perché il padre non si vedeva molto.

Venivano da un piccolo paesino della Sicilia, si erano trasferiti in Emilia per il lavoro del marito, qualcosa che riguardava la sicurezza, la guardia giurata credo, mentre lei faceva la casalinga.

Li avevamo invitati anche per farli stare bene, per aiutarli a integrarsi. Non avevano amici da queste parti.


La settimana prima avevamo trovato in terrazza il nido di un qualche uccello. Il nido era vuoto, costruito in un giorno. Nascosto tra i rametti delle piccole piante che adornavano il bordo del terrazzo.

Lo teniamo? Lo buttiamo? Come comportarci? tutte domande che vennero spazzate via quando vedemmo arrivare a rotazione due merli, che avremmo poi capito essere il maschio e la femmina, che portavano ancora materiale alla costruzione della loro casa.

Da quel momento il loro nido diventò anche il nostro, una sorta di tabernacolo della vita che si rinnova, si sviluppa e va avanti nonostante tutto.

Speranza per i giovani compagni merli di avere dei piccoli merlini da accudire.

Erano state deposte le uova, ben quattro, ponendoci tutti in trepidante attesa della schiusa.


La sera della cena eravamo imbarazzati come lo sono degli sconosciuti che si studiano e si squadrano per trovare qualcosa da dire senza creare inconvenienti. Cercando di creare un ponte comune su cui stare assieme.

Accomodatevi, un attimo che prepariamo, date un’occhiata in giro che arriviamo subito, gli dicemmo dalla cucina.

Il marito era purtroppo molto silenzioso, la moglie aveva timore di dire e guardava spesso il marito come attendendo il parere favorevole alle proprie parole.

A volte lo sguardo del marito la zittiva. L’imbarazzo per noi era sempre maggiore. 

Poi venne fuori il discorso dei merli in terrazza. Raccontammo tutta la storia orgogliosi come se i merli fossero figli nostri.

La moglie ammiccava sorridente, il marito non sembrava molto interessato, ma se non altro non guardava male la moglie.

Il figlio divenne curioso di vederli dal vivo. 

Eravamo molto titubanti nel far vedere il nido, la merla stava covando e avevamo timore che se avessimo disturbato, gli uccelli avrebbero abbandonato il nido.

Ma il bambino non aveva aspettato il nostro permesso né i genitori l’avevano bloccato. L’unico accenno della madre era stato stoppato dal solito sguardo del padre.

Il bambino era andato in terrazza e poco dopo, con sguardo deluso e senza dire nulla si era accomodato a tavola.


Avrei voluto andare a controllare, ma sembrava brutto, come non mi fidassi del bambino. 

Avevo però un’altra possibilità, la webcam che avevo posizionato sopra al nido per tenerlo d’occhio senza disturbare.

L’avevo collegata a un pc in camera e così con una scusa andai a controllare con un’ansia nascosta.

La diretta mi confermò che l’ansia era ben riposta. Il nido non c’era più.

Il vaso di fiori su cui si erano dati tanto da fare i due merli, era senza nido. Le uova, la merla il nido, tutto sparito. Mio figlio era dietro di me e aveva visto tutto.

Non feci in tempo a bloccarlo che andò subito dal compagno urlandogli contro.

Mentre mia moglie cercava di bloccarlo, il bambino si mise a piangere farfugliando qualcosa.

I genitori vista la situazione decisero di andarsene con le scuse della sola madre.


Rimasti soli andammo in terrazza a vedere dove stava il nido. Sporgendomi dal parapetto del nostro piano rialzato, lo vidi, nido e uova sparse per il giardino sotto.

Andammo subito a recuperare tutto rimettendo al suo posto nido e uova. Non se ne era rotta nessuna. Non si trattava che aspettare e sperare nella merla.

Nel frattempo, andai a bloccare la diretta della webcam. Il programma cominciò quindi a elaborare la registrazione fatta.

Alla fine, mi trovai con l’ultimo video del nostro documentario sui merli. Cominciai a vederlo per dar loro un saluto, così senza senso dandolo a un video, ma il dispiacere era tanto. Sapevamo dei problemi del bambino e cosa avremmo potuto dire. Potevo solo essere triste per la situazione dei genitori.

Mentre pensavo a tutto questo, distrattamente guardavo e non guardavo il video. Mi resi conto di avere passato il momento della sparizione del nido, ma era strano che non fossi quasi alla fine.

Seguendo l’orario impresso nel video, andai verso la fine più o meno nel momento dell’uscita del bambino in terrazza e il nido non c’era già più. Anzi, il bambino, vista la webcam, si era affacciato facendo un sorriso deluso. 

Se non era stato lui allora chi?

Non mi restava che tornare indietro nel video e trovare quello che avevo paura di scoprire.

Che purtroppo trovai.

Il bambino problematico era il figlio del padre, che lo rendeva tale.


Forma o sostanza

- Oh, ma insomma, la smetti di guardare tutte le altre donne che incontriamo? -

Al mega centro commerciale per la spesa settimanale lui non smetteva di guardare le giovani commesse e le interessanti donne che incontravano.

- e dai, non sto guardando, osservo solamente -

- che differenza ci sarebbe, scusa? -

- una differenza sottile, ma essenziale – lo diceva sorridendole.

- come quando si guarda un’opera d’arte, la si osserva per carpirne i significati che l’autore ha voluto esprimere -

- continuo a non capire, ma vai pure avanti, vediamo dove arrivi -

- sono curiosa – aggiunse sorridendo prima e poi seria - curiosa di capire perché non mi guardi più -

- dai che non è vero – lo diceva mentre guardava una avvenente donna che si stava avvicinando.

- sì che è vero, guardi le altre perché hanno un corpo più bello del mio – lo strattonava per impedirgli di girarsi e seguirne il percorso.

- le guardi, le osservi, usa il verbo che ti pare, solo perché hanno ancora una taglia 38 - se avessero avuto figli le guarderesti meno - 

- se tu avessi avuto dei figli non avresti mantenuto il tuo fisico -

Mario rimase un po’ dubbioso sull’affermazione, la guardò, si guardò come stupito, e poi rispose, serio.

- certo, se li avessi avuti magari avrei fatto in maniera di stare più attento -

- voi uomini la fate facile, in realtà non siete riconoscenti e vi interessa solo una cosa -

- certo che ci interessa, ma non solo, e comunque guardare non fa male a nessuno, e io non sono come gli altri uomini -

- see, sempre così mi dici, immagino come manderesti via quella che è appena passata -

Queste discussioni si ripetevano tutte le volte in cui si recavano in qualche luogo pubblico.


Durante la settimana Sofia, tra le tante improbabili news del cellulare, trovò un articolo.

Stranezze del Mondo, così si chiamava la rubrica, parlava di una donna che lamentava di essere stata un uomo.

Casablanca era attiva per questo già dagli anni Ottanta, per cui, non sembrava questa gran notizia.

Dopo aver letto la successiva news, in cui un padrone aveva azzannato il suo cane, decise che la rubrica Stranezze del Mondo, non era degna di ulteriori approfondimenti.


Il sabato successivo nuova spesa.

La primavera era sbocciata e la temperatura favorevole aveva ampliato i centimetri quadrati femminili esposti agli occhi di Mario.

- Ho letto di una donna che era stata uomo – buttò lì Sofia.

- Divertente – mentre sorrideva alla cassiera.

- Sarebbe un esperimento interessante da fare - 

- In che senso? -

- Se tu diventassi donna magari capiresti cosa vuol dire per me andare in giro con te che sorridi a tutte -

- Io sarei stato più attento -

- A cosa? -

Mario sospirò, la guardò negli occhi pensando se fosse il caso di proseguire e alla fine sbottò.

- A non perdere la forma fisica, a non mangiare tutto quello che mi passa davanti, a fare almeno un po’ di attività fisica -

Sofia rimase basita, ma solo per un attimo.

- Ho capito che non te ne frega niente di me -

- Se facessimo il cambio io non sarei come te -

- Certo, sicuro, paghiamo e andiamo che si fa tardi e mi comincia la partita -

- Ciao Mario - disse una donna nella cassa di fianco mentre andava via.

- Ciao Lisa -

- Buongiorno – continuò stizzita Sofia.

- E quella chi era che non la conosco? -

- Una collega -

- Non l’ho mai vista ai pranzi aziendali - 

Stava per dirle che ci teneva alla linea e li saltava - È da poco che è stata assunta -

- Donna molto bella, e lo dico da donna – disse scocciata.

- È al marketing, e lì solo così le assumono -


Sofia quella notte fece un sogno in cui leggeva la rubrica “Stranezze del Mondo”.

La donna dell’articolo era diventata suo marito che guardava la partita in tv.

Subito dopo il sogno era cambiato di scena e, in soggettiva, lei guardava interessata altre donne al supermercato.

Si svegliò, tutta sudata. Che incubo nel cuore della notte, nel buio assoluto del cuore della notte.

Una volta ripresasi un bisogno naturale l’attirava verso in bagno.

Provò a scendere dal solito lato del letto, ma si accorse di essere dall’altra parte.

Appena entrata in bagno urtò la cesta della roba sporca, quello là lasciava sempre tutto in mezzo, e le scappò uno strano grido di dolore.

L’urlo di quella che era la sua voce, proveniente dalla camera da letto, la finì di svegliare.

Solo ora si rese conto che poteva espletare il bisogno urgente stando in piedi.

La successiva spesa del sabato sarebbe stata molto più divertente.


giovedì 18 marzo 2021

La vicina di casa


Come non raccontare della mia speciale vicina di casa. 

Per descriverla in una caratteristica, avrei detto che era sempre contenta. Così almeno sembrava a me che la sentivo uscire tutte le mattine per recarsi…boh, non so neanche dove.

Sicuramente andava in un bel posto, vista la gioia che l'accompagnava.

Era sempre al telefono, ascoltava un po’ e poi rideva. Generava una risata gentile e prolungata.

La spiavo dalla finestra scostando appena la tenda.

Credo che se ne fosse accorta. Credo che le piacesse. 

La sera tornava ed era ancora al telefono, sempre contenta, non solo sorridente, ma “ridente”. Molte risate, ma senza parlare quasi. Il suo interlocutore era molto spiritoso.

Piaceva averla vicina, sentirla vicina. 

Sarebbe stato bello invitarla a ridere un po’ con me, ma temevo di non essere all’altezza del suo interlocutore e mi dicevo che era meglio aspettare il momento giusto.

L’occasione sarebbe arrivata.

Prima o poi.


Lei abitava al piano sotto al mio, la sentivo solo nel rimbombo delle scale e la vedevo solo dalla finestra. 

Lei...non sapevo neanche il suo nome. Sul campanello era rimasto quello del precedente inquilino. 

Ci eravamo incontrati qualche volta, certo, ma buongiorno, buonasera, ciao.


Un giorno venne a trovarmi un amico informatico. Doveva farmi un intervento al pc, che utilizzavo per lavoro da casa. Il pc era molto sotto pressione, e io con lui se non funzionava.

“Pensi sia grave?”

“Temo sia necessaria una bella rinfrescata al sistema operativo, ma abbiamo tempo. Con che cena mi paghi l’intervento?” Disse scherzando mentre apriva gli sportelli in cucina come cercando qualcosa da mangiare.

Lo pagavo, per dire, facendogli un piatto di pasta e due scaloppine. Lui ci metteva il vino. Avremmo parlato di donne e altre amenità come due adolescenti.

La risata arrivò dolce e profonda dalla tromba delle scale.

“Ma chi è?” mi disse ammiccando. Sapeva della vicina, purtroppo gliene avevo parlato. 

“Sai che oggi sarei potuto venire anche prima, ma non volevo perdermela, volevo finalmente vederla”

Una punta di gelosia mi planò sulle spalle.

“Già, è lei, ma non ti distrarre” non volevo farla entrare nei suoi discorsi sulle donne.

“Non sarai geloso? È da mesi che me ne parli come se fosse la madonna”

“L’hai mai vista rientrare con un uomo?”

“Né far entrare un uomo” aggiunsi serio.

“Li va a trovare lei, ah, ah, ah” non poteva risparmiarsi di concludere.

Mi atterrò addosso una leggera incazzatura.

“Non ti permettere sai. Lei è speciale!” Dissi sorridendo, ma solo per dissimulare.

“Si, va bene, ho capito, andiamo a cenare così non ci pensiamo. Forse…”

Non l'avrei più invitato a cena. 

Solo a pranzo.

“Perché sorridi?” mi chiese il mio amico.


La cena andò avanti tranquilla con molte chiacchiere.

Al caffè mi accorsi che l’avevo finito, non trovavo più il vasetto dopo lo tenevo.

“Dovresti andare giù e chiederle un po’ di caffè” disse come si fosse preparato la domanda.

“La solita scusa stupida per attaccar bottone, dai, non posso” 

“Ti fai troppi problemi, ci vado io”.

Pensavo scherzasse.

E invece ci andò.

Scese le scale.

Bussò alla porta.

La sentii ridere a qualcosa che le aveva detto il mio l’amico.

Sentii chiudere la porta.

Rimase solo il silenzio del vano scale.


Il caffè lo presi il giorno dopo, il vasetto era stato nascosto in fondo a un armadietto.


lunedì 27 luglio 2020

Turno di Notte 2020 - Cogito ergo sum

versione iniziata alle 10 del 25 e servita alle ore 3 del 26 luglio 2020
per il concorso "Turno di Notte"


Cogito ergo sum – Stefano Samorì

L'incipit di Carlo Lucarelli da cui proseguire nella scrittura: 
Ci sono desideri che sembrano impossibili, così grandi e così complessi, così difficili che figurarsi, e invece in un attimo, come per caso, si avverano.
E ce ne sono altri che sarebbero lì, a portata di mano, di dito, addirittura, e poi niente, via, svaniti, scomparsi.
E questo?
Qual era, cos’era, questo?

Svegliarsi rendendomi conto di essere nel buio totale non era stato piacevole.
Steso, sdraiato su una superficie morbida.
Silenzio totale attorno a me.
Sentivo solo il mio respiro.
Provai a muovermi ma non avevo molto spazio intorno. Le mani toccarono subito una superficie morbida, sembrava un cuscino, un esteso cuscino. Potevo sentire i bottoni che fermavano l’imbottitura.
Tutt'intorno sentivo solo imbottitura e bottoni.
Quattro angoli squadravano lo spazio attorno a me.
Provai a ruotarmi ma non avevo spazio sufficiente per farlo.
Non poteva essere che quello che ormai pensavo.
Non dovevo pensarci, era da impazzire affogato nella follia.
Come potevo esserci finito se non ricordavo di essere morto.
Nessuno ricorda di essere morto, del resto nessuno dovrebbe risorgere in queste condizioni.