versione iniziata alle 10 del 25 e servita alle ore 3 del 26 luglio 2020
per il concorso "Turno di Notte"
Cogito ergo sum –
Stefano Samorì
L'incipit di Carlo Lucarelli da cui proseguire nella scrittura:
Ci sono desideri che sembrano
impossibili, così grandi e così complessi, così difficili che figurarsi, e
invece in un attimo, come per caso, si avverano.
E ce ne sono altri che
sarebbero lì, a portata di mano, di dito, addirittura, e poi niente, via,
svaniti, scomparsi.
E questo?
Qual era, cos’era, questo?
Svegliarsi rendendomi conto di
essere nel buio totale non era stato piacevole.
Steso, sdraiato su una superficie
morbida.
Silenzio totale attorno a me.
Sentivo solo il mio respiro.
Provai a muovermi ma non avevo
molto spazio intorno. Le mani toccarono subito una superficie morbida, sembrava
un cuscino, un esteso cuscino. Potevo sentire i bottoni che fermavano
l’imbottitura.
Tutt'intorno sentivo solo
imbottitura e bottoni.
Quattro angoli squadravano lo
spazio attorno a me.
Provai a ruotarmi ma non avevo
spazio sufficiente per farlo.
Non poteva essere che quello che ormai
pensavo.
Non dovevo pensarci, era da
impazzire affogato nella follia.
Come potevo esserci finito se non
ricordavo di essere morto.
Dovevo essere morto e magari la
morte era questa. Chi può saperlo?
Dovevo rimanere vigile mentre il
tempo passava.
Cercavo ma non riuscivo, mi stava assalendo
il mio primo attacco di panico.
Per non pensarci pensai che, forse,
finalmente il mio desiderio di morire si era avverato?
Questo mi consolava un po’,
dopotutto stavo facendo quello che desideravo, morire, almeno prima di finire
lì dentro.
Ma ero sveglio o questa era la
morte?
Possibile che mi avessero sepolto
senza accorgersi che non ero morto?
Provai a battere i piedi. Inutile, l’imbottitura
attutiva i miei tentativi.
Mi vennero in mente le storie degli
addetti ai cimiteri, di bare graffiate dall'interno fino ad arrivare al legno
vivo.
Ma erano leggende, oppure no?
Calma…
Ricordo il giorno prima, o poteva
essere anche la settimana prima, chissà da quanto ero qui dentro, in cui
scherzavo con la mia fidanzata sulla mancanza di senso della vita.
Che scopo abbiamo, le chiedevo, a
parte soddisfare i bisogni primari che genera il nostro cervello rettiliano.
Cibo, riparo, sesso. Il senso della vita ha consentito alla razza umana la sopravvivenza,
perché denigrare questo meccanismo?
Da qui nascevano discussioni
infinite.
Non solo con lei.
Morire cosa significa?
Per qualcuno andare in un posto
migliore, forse, ma per me era come quando dormi senza sogni.
Che poi le dicevo, ma prima di
renderti conto di essere vivo, fino a quando hai tre, quattro anni, ai primi
ricordi di te, o prima ancora di nascere, dove eri?
La vita non ha un senso, ma solo una
serie di doveri, se ti va bene.
Certo poi mi si faceva l’esempio
della religione, ognuno la sua, che cercava di dare spiegazioni illogiche, di
fede appunto, per dare un senso all'illogicità del tutto.
Forse il mio rifiuto di tutte
queste spiegazioni mi aveva portato qui?
Magari il dio vendicativo, che
esiste davvero, almeno uno, questo riserva a chi non crede.
Forse, certo è che chiuso dentro a
una bara la superstizione risorge alla grande, per cercare di dare spiegazioni
a fatti in apparenza inspiegabili.
Ma come potevo respirare ancora
dopo tanto tempo, l’aria sarebbe dovuta terminare abbastanza in fretta.
Quindi ero morto e non avevo
bisogno di ossigeno.
Uno zombi come quelli dei film, ma
forse no, mi stavo rendendo conto. Gli zombi non hanno questa possibilità.
Non pensano a niente altro che a
soddisfare l’unico bisogno elementare che è quello di mangiare carne viva.
Pensandoci non c’era poi molta
differenza rispetto a tante persone che conoscevo, anzi, gli zombi avevano meno
esigenze, a ben pensarci.
Mi viene poi in mente che un amico
mi aveva fatto vedere un articolo di una strana usanza giapponese.
Un servizio per depressi cronici,
una terapia d’urto da applicare per chi ha perso la voglia di vivere.
Si fa accomodare il soggetto in una
comoda bara e lo si sigilla dentro. L’articolo non spiegava il fatto
dell’ossigeno, ma avranno risolto mettendo un foro, o una bombola di ossigeno
all'interno. Questa ultima soluzione mi fece sorridere.
Comunque, questi articoli esotici
non spiegavano mai bene il funzionamento, ma davano soluzioni pret a porter,
quasi magiche, senza senso, a problemi complessi.
Del resto, è poi quello che
cerchiamo nella superstizione, in certi politici, nei guru, nelle diete
miracolose, nelle sette, nella religione.
Forse per questo ci piacciono
tanto. Spiegano il perché non possono risolvere.
Comunque, dopo un tempo indefinito,
senza controllo da parte del soggetto sigillato, la persona veniva liberata.
In taluni casi lo shock portava la
persona a cominciare una nuova vita. In altri casi veniva trovato morto dal
terrore con le mani appoggiate contro il soffitto della bara nel vano tentativo
di aprire e uscire.
La maggioranza che ne avrebbe
tratto solo l’ennesimo aneddoto, non veniva citata.
Un pensiero mi stava avviluppando,
ma se fossi anche io dentro a questo trattamento?
Del resto, non riuscivo ad
autodeterminarmi giapponese. Poteva anche essere così.
Gli occhi a mandorla non ci sente
di averli, d’altro canto la passione per il sushi non è però una prova.
Forse non ero giapponese.
Che poi era una speranza di essere
dentro al servizio recupero depressi, vivo, con un cazzo di bombola di
ossigeno, e che fra un po’ mi avrebbero aperto.
Rimasi in silenzio cercando di
captare qualche rumore, anche minuscolo.
Ma anche fosse stato così, non
sarebbe stato un buon servizio sentire l’esterno, mi sarei lamentato e avrei
chiesto il rimborso.
Certi ragionamenti mi facevano
capire che stavo impazzendo.
Magari stavo sognando, del resto
non vedevo niente, non sentivo niente, ma del resto, i sogni sono tipicamente
neutri.
Ero quindi ormai certo che stavo
sognando e il classico pizzicotto mi avrebbe svegliato.
Mi feci un gran male con un signor
pizzicotto. Il dolore mi fece capire che, decisamente, non era un sogno.
Ma allora ero vivo.
Ero felice per essere vivo, ma
terrorizzato di essere sepolto, vivo.
Forse sarebbe stato meglio essere
morto, già che ero sepolto.
Il panico stava straripando.
Vivo o morto sembrava che poco
cambiasse.
O ero morto o lo sarei stato tra
poco.
Il mio desiderio di morire nel
frattempo si era dissolto.
Cominciai a sentire una leggera
pressione, una rotazione mi stava ribaltando verso un lato della bara.
Lentamente, ma sempre più accelerando
il movimento rotatorio, cominciò a sballottarmi.
Finii per rotolare diverse volte,
ringraziai l’imbottitura, ma sentii che non era solo il pizzicotto che mi dava
la certezza che ero vivo.
Fino a che un urto più forte mi
fece capire che ero arrivato in fondo a qualcosa.
Dopo essermi ripreso sentii con le
dita che la bara, che adesso era girata di lato, si era scardinata nella parte
sopra.
Provai a inserire le dita per
allargare lo spazio e magari vedere l’esterno.
Non si vedeva niente. Tutto buio.
Provai ad allargare lo spazio e in
qualche maniera riuscii a scardinare la bara e a farmi strada verso l’esterno.
Una volta fuori, sentii che la superficie
su cui appoggiavo era molto morbida, feci un passo e mi trovai contro una
parete, sempre con una superficie morbida.
La tastai fino a trovare quello che
non avrei mai voluto.
I bottoni, avevo trovato i bottoni
che fermavano l’imbottitura.
Sulle pareti e per terra,
imbottitura e bottoni.
Cogito ergo sum fu l’ultimo
pensiero prima di cominciare a urlare senza sapere di farlo…
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