lunedì 27 luglio 2020

Turno di Notte 2020 - Cogito ergo sum

versione iniziata alle 10 del 25 e servita alle ore 3 del 26 luglio 2020
per il concorso "Turno di Notte"


Cogito ergo sum – Stefano Samorì

L'incipit di Carlo Lucarelli da cui proseguire nella scrittura: 
Ci sono desideri che sembrano impossibili, così grandi e così complessi, così difficili che figurarsi, e invece in un attimo, come per caso, si avverano.
E ce ne sono altri che sarebbero lì, a portata di mano, di dito, addirittura, e poi niente, via, svaniti, scomparsi.
E questo?
Qual era, cos’era, questo?

Svegliarsi rendendomi conto di essere nel buio totale non era stato piacevole.
Steso, sdraiato su una superficie morbida.
Silenzio totale attorno a me.
Sentivo solo il mio respiro.
Provai a muovermi ma non avevo molto spazio intorno. Le mani toccarono subito una superficie morbida, sembrava un cuscino, un esteso cuscino. Potevo sentire i bottoni che fermavano l’imbottitura.
Tutt'intorno sentivo solo imbottitura e bottoni.
Quattro angoli squadravano lo spazio attorno a me.
Provai a ruotarmi ma non avevo spazio sufficiente per farlo.
Non poteva essere che quello che ormai pensavo.
Non dovevo pensarci, era da impazzire affogato nella follia.
Come potevo esserci finito se non ricordavo di essere morto.
Nessuno ricorda di essere morto, del resto nessuno dovrebbe risorgere in queste condizioni.


Dovevo essere morto e magari la morte era questa. Chi può saperlo?
Dovevo rimanere vigile mentre il tempo passava.
Cercavo ma non riuscivo, mi stava assalendo il mio primo attacco di panico.
Per non pensarci pensai che, forse, finalmente il mio desiderio di morire si era avverato?
Questo mi consolava un po’, dopotutto stavo facendo quello che desideravo, morire, almeno prima di finire lì dentro.
Ma ero sveglio o questa era la morte?
Possibile che mi avessero sepolto senza accorgersi che non ero morto?
Provai a battere i piedi. Inutile, l’imbottitura attutiva i miei tentativi.
Mi vennero in mente le storie degli addetti ai cimiteri, di bare graffiate dall'interno fino ad arrivare al legno vivo.
Ma erano leggende, oppure no?
Calma…
Ricordo il giorno prima, o poteva essere anche la settimana prima, chissà da quanto ero qui dentro, in cui scherzavo con la mia fidanzata sulla mancanza di senso della vita.
Che scopo abbiamo, le chiedevo, a parte soddisfare i bisogni primari che genera il nostro cervello rettiliano. Cibo, riparo, sesso. Il senso della vita ha consentito alla razza umana la sopravvivenza, perché denigrare questo meccanismo?
Da qui nascevano discussioni infinite.
Non solo con lei.
Morire cosa significa?
Per qualcuno andare in un posto migliore, forse, ma per me era come quando dormi senza sogni.
Che poi le dicevo, ma prima di renderti conto di essere vivo, fino a quando hai tre, quattro anni, ai primi ricordi di te, o prima ancora di nascere, dove eri?
La vita non ha un senso, ma solo una serie di doveri, se ti va bene.
Certo poi mi si faceva l’esempio della religione, ognuno la sua, che cercava di dare spiegazioni illogiche, di fede appunto, per dare un senso all'illogicità del tutto.
Forse il mio rifiuto di tutte queste spiegazioni mi aveva portato qui?
Magari il dio vendicativo, che esiste davvero, almeno uno, questo riserva a chi non crede.
Forse, certo è che chiuso dentro a una bara la superstizione risorge alla grande, per cercare di dare spiegazioni a fatti in apparenza inspiegabili.
Ma come potevo respirare ancora dopo tanto tempo, l’aria sarebbe dovuta terminare abbastanza in fretta.
Quindi ero morto e non avevo bisogno di ossigeno.
Uno zombi come quelli dei film, ma forse no, mi stavo rendendo conto. Gli zombi non hanno questa possibilità.
Non pensano a niente altro che a soddisfare l’unico bisogno elementare che è quello di mangiare carne viva.
Pensandoci non c’era poi molta differenza rispetto a tante persone che conoscevo, anzi, gli zombi avevano meno esigenze, a ben pensarci.
Mi viene poi in mente che un amico mi aveva fatto vedere un articolo di una strana usanza giapponese.
Un servizio per depressi cronici, una terapia d’urto da applicare per chi ha perso la voglia di vivere.
Si fa accomodare il soggetto in una comoda bara e lo si sigilla dentro. L’articolo non spiegava il fatto dell’ossigeno, ma avranno risolto mettendo un foro, o una bombola di ossigeno all'interno. Questa ultima soluzione mi fece sorridere.
Comunque, questi articoli esotici non spiegavano mai bene il funzionamento, ma davano soluzioni pret a porter, quasi magiche, senza senso, a problemi complessi.
Del resto, è poi quello che cerchiamo nella superstizione, in certi politici, nei guru, nelle diete miracolose, nelle sette, nella religione.
Forse per questo ci piacciono tanto. Spiegano il perché non possono risolvere.
Comunque, dopo un tempo indefinito, senza controllo da parte del soggetto sigillato, la persona veniva liberata.
In taluni casi lo shock portava la persona a cominciare una nuova vita. In altri casi veniva trovato morto dal terrore con le mani appoggiate contro il soffitto della bara nel vano tentativo di aprire e uscire.
La maggioranza che ne avrebbe tratto solo l’ennesimo aneddoto, non veniva citata.
Un pensiero mi stava avviluppando, ma se fossi anche io dentro a questo trattamento?
Del resto, non riuscivo ad autodeterminarmi giapponese. Poteva anche essere così.
Gli occhi a mandorla non ci sente di averli, d’altro canto la passione per il sushi non è però una prova.
Forse non ero giapponese.
Che poi era una speranza di essere dentro al servizio recupero depressi, vivo, con un cazzo di bombola di ossigeno, e che fra un po’ mi avrebbero aperto.
Rimasi in silenzio cercando di captare qualche rumore, anche minuscolo.
Ma anche fosse stato così, non sarebbe stato un buon servizio sentire l’esterno, mi sarei lamentato e avrei chiesto il rimborso.
Certi ragionamenti mi facevano capire che stavo impazzendo.
Magari stavo sognando, del resto non vedevo niente, non sentivo niente, ma del resto, i sogni sono tipicamente neutri.
Ero quindi ormai certo che stavo sognando e il classico pizzicotto mi avrebbe svegliato.
Mi feci un gran male con un signor pizzicotto. Il dolore mi fece capire che, decisamente, non era un sogno.
Ma allora ero vivo.
Ero felice per essere vivo, ma terrorizzato di essere sepolto, vivo.
Forse sarebbe stato meglio essere morto, già che ero sepolto.
Il panico stava straripando.
Vivo o morto sembrava che poco cambiasse.
O ero morto o lo sarei stato tra poco.
Il mio desiderio di morire nel frattempo si era dissolto.



Cominciai a sentire una leggera pressione, una rotazione mi stava ribaltando verso un lato della bara.
Lentamente, ma sempre più accelerando il movimento rotatorio, cominciò a sballottarmi.
Finii per rotolare diverse volte, ringraziai l’imbottitura, ma sentii che non era solo il pizzicotto che mi dava la certezza che ero vivo.
Fino a che un urto più forte mi fece capire che ero arrivato in fondo a qualcosa.
Dopo essermi ripreso sentii con le dita che la bara, che adesso era girata di lato, si era scardinata nella parte sopra.
Provai a inserire le dita per allargare lo spazio e magari vedere l’esterno.
Non si vedeva niente. Tutto buio.
Provai ad allargare lo spazio e in qualche maniera riuscii a scardinare la bara e a farmi strada verso l’esterno.
Una volta fuori, sentii che la superficie su cui appoggiavo era molto morbida, feci un passo e mi trovai contro una parete, sempre con una superficie morbida.
La tastai fino a trovare quello che non avrei mai voluto.
I bottoni, avevo trovato i bottoni che fermavano l’imbottitura.
Sulle pareti e per terra, imbottitura e bottoni.
Cogito ergo sum fu l’ultimo pensiero prima di cominciare a urlare senza sapere di farlo…





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