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domenica 27 luglio 2025

Turno di Notte 2025 - Ragazze

versione iniziata alle 22 del 26 luglio e servita alle ore 3 del 27 luglio 2025
per il concorso "Turno di Notte"

Ragazze – Stefano Samorì

DA UN INCIPIT DI CARLO LUCARELLI
Ecco l'incipit del XVI concorso Turno di Notte 2025:
Come fai a dire "e l'ultima":
l'ultima volta, le ultime parole, l'ultima qualunque cosa?
La prima sì, prima non c'era, appartiene al passato e quello lo conosci,
ma l'ultima riguarda il futuro, e quello chissà. Anche a giurarlo, a gridarlo,
con decisione e forza, spietata, ostinata, disparata, l'ultima, l'ultima, l'ultima.
Ma sarà vero?

Quel mattino di maggio poteva certamente nascere migliore di come si palesò all’edicolante che come solito era arrivato di buon mattino alla propria attività. Erano finite le levatacce delle fredde mattine invernali e i primi tepori dell’estate stavano manifestandosi. Purtroppo qualcosa quella mattina non sarebbe andato come si aspettava. Davanti all’edicola trovò il corpo di una giovane donna, che pareva dormire come era già successo quando si era trovato un poveraccio puzzolente, che aveva cercato riparo sotto al tendone dell’attività. Ma la giovane donna non respirava e mentre le girava attorno sotto ai suoi piedi sentiva uno strano appiccichio vischioso.

Il commissario di polizia arrivò appena possibile. Il caso del killer delle ragazze era il suo. Intanto era ormai giorno fatto. Nel frattempo si era formato un capannello di persone curiose di capire o curiose a prescindere, molti erano clienti dell’edicola passati ad acquistare il giornale con le ultime notizie di stampa e passati all’ultima notizia in diretta.

Dopo poco arrivarono i primi giornalisti armati di telecamere e microfoni per la succulenta diretta mattutina. Intervistarono il giornalaio chiedendogli cosa aveva provato nel trovarsi di fronte a questa povera ragazza certamente vittima della società e del sistema. Finalmente arrivarono sufficienti poliziotti per poter transennare, anche solo con il nastro bianco e rosso, la zona, e cercare inutilmente di allontanare gli umarell verso i cantieri.

Infine arrivò il medico legale che assieme al commissario non poté che constatare che la ragazza era un’altra vittima del “killer delle ragazze”, come era stato battezzato l’assassino.


Che soddisfazione che la televisione trasmetta il video della diretta del ritrovamento della mia vittima. Lo sarebbe ancora di più se avessero capito il perché lo faccio. Posso così vedere l’amico commissario mentre parla con un'altra persona, sarà il medico legale di turno, che non sa cosa fare e si guarda attorno sperando di vedermi. Brancolano nel buio e non hanno nessuna speranza di trovarmi. Sarebbe meglio che abbassassi il volume, in fondo non dicono niente che abbia un senso neanche gli esperti nello studio, parlano, parlano, devono riempire il tempo, fino ad arrivare a ipotizzare assurde teorie su “complotti dei poteri forti”.

Mi piacerebbe entrare nella diretta e rivelare i motivi delle loro “assurde morti”, c’è anche un numero verde da chiamare, certo sarebbe proprio da stupidi e credono che lo sia perché mi invitano a comporre il numero. Ma ecco che suona il telefono, senza limiti al trash, fanno passare tutto, più è assurdo e più vende. Sento parlare una voce maschile, prima un po’ titubante, poi visto che tutti stanno zitti e aspettano, più sicura di sé, che afferma di essere lui l’assassino. Questa affermazione mi induce in un sorriso, e farà sollazzare tutti, anche sviarli, in attesa della prossima vittima.

Mettono in comunicazione il commissario, che naturalmente non sa di essere in diretta nazionale, vedo che risponde al telefono, per cui tutti sentiamo che gli chiede di che calibro è la pistola. Il tipo al telefono ritorna a balbettare, poi non si sente più niente, e infine arriva con un urlo liberatorio con un numero 38 special. Risposta sbagliata, vorrei dire al tipo.

Il commissario chiude la comunicazione bruscamente con il tipo che rimane in diretta nazionale, ma avendo sentito il clic pensa di essere da solo e parte con una serie di bestemmie contro internet e Wikipedia. Anche in studio non hanno coraggio di lasciare aperta la comunicazione. Tutto molto comico, non avevo considerato questo lato del mio agire. Spengo la televisione, devo studiare come procedere con la prossima candidata.

Dopo una settimana al commissario arriva una nuova telefonata, sta facendo colazione ma lascia tutto sul bancone del bar. Come paventava sarebbe successo, sembra che abbiano trovato un’altra vittima. In fondo sperava si sarebbe fermato, ad essere fortunati il killer avrebbe potuto avere avuto un incidente stradale. Ormai gli sono tutti contro, questo dannato killer delle ragazze, tutte giovani e avvenanti, ha colpito l’opinione pubblica, ma non sa che pesci pigliare visto che, a parte le caratteristiche fisiche, niente sembra collegare le vittime.


La trappola è innescata. Il mio nuovo profilo su Tinder è veramente strafigo. Adesso con AI è sempre più facile generare immagini di persone bellissime. Concludo il profilo con frasi tenere da cioccolatini e come per le altre volte non avrò che da scegliere la prossima vittima.

La sera successiva Elena si è preparata e le pare di essere perfetta. Tacco alto, gonna corta certo il fisico non le manca. Vuole fare una bella impressione sul tipo che ha conosciuto su Tinder, molto bello, curato, affascinante e non vede l’ora di incontrarlo. Si devono vedere in via Tal di Tali, per poi andare in un esclusivo ristorante a sorpresa, prenotato, da vero signore, per loro due. Ha solo un cruccio, nel profilo ha indicato che è sposata, lo fa sempre per non avere problemi se non le piace chi incontra, così che non essendo libera ha una scusa per andarsene e sparire, a maggior ragione perché sembra che le donne libere non siano ricercate su Tinder. E solo un dubbio, certo, e si vuole comportare come al solito, ma questa persona pare davvero speciale e quando arriva in via Tal dei Tali e lo vede, pur da lontano, pur in penombra, e lo vede così bello con un mazzo di rose per lei, decide di tornare un attimo sui suoi passi, cambiare lo stato sul social e scrivere un nuovo messaggio rivelandogli che è libera e single come lui, così salvandosi da morte certa.

Nel frattempo non riesce a vedere che il tipo con le rose viene raggiunto da una donna, per poi andare via assieme. Il killer, già pronto, vicino alla via dell’incontro, legge il messaggio e tutto il suo piano va in fumo, a queste condizioni non può più agire e se ne deve andare, senza più neppure rispondere a Elena, ormai rivelatasi migliore di quello che sembrasse.


Dopo il fallimento del progetto Elena, il killer comincia a nutrire dei dubbi sul proprio operato, su quella che ritiene una missione per purificare il mondo. Vaga un po' per le vie cittadine finché passando vicino a una chiesa, decide di entrarci cercando un prete per confessarsi e chiedere, nel segreto del confessionale, un parere sulla missione che ha intrapreso. Il prete cerca di capire di cosa stia parlando, riguardo al ravvedere le donne dal circuire gli uomini portandoli al peccato. Altro non si sente di dire. Ma tanto basta al prete che dice di non preoccuparsi, perché il giudizio e l’eventuale espiazione delle colpe spettano a Dio onnipotente e non agli uomini. Cara Federica, così mi sembra hai detto di chiamarti, puoi andare in pace e recitare tre Ave Maria.


Federica esce dalla chiesa in evidente imbarazzo su quello che pensava fosse il suo compito nella vita. Devo dar retta al prete e smetterla, o comunque proseguire? Mentre rimugina sul futuro della sua vita, nota una coppia che passeggia davanti a lei, lungo la medesima strada. Sembrano toccarsi quasi per caso, in piccoli momenti pare che le loro dita si sfiorino, e solo nelle zone in ombra dai lampioni, si prendono per mano. Qualcosa l’ha colpita, forse l’andatura particolare dell’uomo. Arrivano a un portone, Federica si ferma per non raggiungerli e si siede in una panchina al buio nel giardino di fronte. Intanto i due si guardano attorno un po’ furtivi, si avvicinano al portone e sotto la volta, ancora più in ombra, si danno un bacio veloce sulle labbra. Pur lontana li vede sorridere complici. Lui inserisce la chiave, apre l’anta e appena prima di entrare l’attira a se e la bacia più a lungo. Lei si discosta veloce, fa dei gesti come a dire, che fai, ma poi sorride entusiasta, lo saluta felice e se ne va.


Mentre Federica sta fissando la giovane donna che va via, non si avvede che le si è avvicinato un uomo che le chiede se abbia bisogno di aiuto per entrare, e se suo marito già rientrato che avrebbe bisogno di chiedergli della pulizia delle scale del condominio, a suo parere, non eseguite ad arte.

Federica lo guarda e in maniera pacata gli conferma di averlo appena visto entrare.

Non ha più dubbi, non può fermarsi, Dio capirà se colpirà un’ultima volta.

giovedì 14 luglio 2022

Turno di Notte 2022 - Mountain Bike

versione iniziata alle 22 del 9 luglio e servita alle ore 3 del 10 luglio 2022
per il concorso "Turno di Notte"

Mountain Bike – Stefano Samorì

DA UN INCIPIT DI CARLO LUCARELLI
Non è facile raccontare una storia meravigliosa.
Anche perché non è detto che la meraviglia scaturisca soltanto dalle cose belle.
Ma bisogna farlo, perché ci sono cose che potranno anche essere incredibili e fantastiche, piene di bellezza o di orrore, di commozione e dolcezza, così meravigliose da troncare il fiato nella bocca spalancata, ma se nessuno le conosce è come se non fossero mai esistite.
Però non è facile raccontarle.
Da dove cominciare?
Ecco, in questo caso, per una volta tanto, forse è necessario partire dalla fine.

Mi si prospettava un’altra sera passata litigando con mia moglie appena rientrato in casa. Il lavoro mi faceva fare tardi ma lei pensava che avessi un’altra con la scusa del lavoro.
Non sapevo più come giustificarmi, il lavoro nella nuova azienda si era rivelato più impegnativo del previsto. L’esigenza di mettermi in pari con gli altri mi portava a fare tardi per studiare i progetti che non conoscevo ancora. Ma questo non piaceva a mia moglie, soprattutto dopo che aveva visto una collega, molto giovane e molto vistosa a sentir lei, uscire poco prima di me una sera che era venuta a controllare se ero davvero in ufficio. Casuale certo, nella struttura eravamo in centinaia di impiegati, ma difficile da far comprendere a qualcuno preso dalla gelosia.

Il giorno dopo, mentre presi una via diversa per evitare un incidente, notai una mountain bike completamente dipinta di bianco appesa a un cartello di fianco alla strada. Passavo da quella strada ogni tanto ma la bicicletta agghindata in quella maniera non l’avevo mai vista.
Cominciai a deviare in quella direzione, pur allungando il percorso verso casa, pensando inconsciamente che passando avrei capito il significato di quella...”cosa”.
Parlandone in giro venne poi fuori che in quella posizione doveva essere stato investito qualcuno in bicicletta, con esiti per lui fatali.
Qualcuno, la moglie, non sapevo ancora chi, aveva poi deciso di fargli onore o qualcosa del genere dipingendo la bicicletta di bianco, e appendendola al cartello stradale più vicino.
Ormai erano mesi che la bici era presente e nessuno l’aveva tolta da quel trespolo senza nome.
Neanche la Polizia Municipale, con evidenza, si era sentita di far rispettare il codice della strada tenendo pulita la segnaletica.

Intanto i mesi passavano. Mia moglie continuava ad accusarmi di essere un porco, ma non avendo prove, e non potevano essercene, non mi lasciava. 
Nel frattempo avevo fatto delle ricerche e trovato articoli di giornali online che spiegavano l’incidente. Ma niente d’altro, fino a che un giorno trovai la bicicletta per terra, sdraiata, abbandonata.
Ripassando al ritorno e trovandola ancora in quella posizione decisi di fermarmi per fare qualcosa. Che cosa poi non lo sapevo ancora, ma qualcosa dovevo fare, anche io ero solito allenarmi in bicicletta per le stesse strade e fin dal principio ero stato naturalmente solidale con questa persona che sarei potuto essere io in un’altra possibile direzione del tempo.
Per la prima volta vedevo la bicicletta da vicino, quasi con paura mi rendevo conto che un dovere mi imponeva di rimetterla al suo posto, come se mi trovassi in un cimitero di fronte a una lapide danneggiata a cui potevo e dovevo por rimedio.
Stranamente poteva sembrare tranciato il fil di ferro che era stato utilizzato per fissarla, come se qualcuno l’avesse di proposito abbattuta, direi quasi sfregiata per spregio, ma non aveva senso, non poteva essere stato che il tempo trascorso e la ruggine.
In qualche maniera, con il filo rimanente, la riuscii a metterla almeno appoggiata in piedi, ma certo non sarebbe durata come sistemazione. Sarei dovuto tornare per sistemarla meglio.

Il giorno successivo mi premunii di fil di ferro e tenaglie e al ritorno dal lavoro misi al suo posto la bicicletta. Mentre stavo sistemando qualcuno passando mi suonò con il clacson. Lo presi come un plauso al lavoro fatto.

L’indomani non riuscii ad andare al lavoro perché mia moglie, in una crisi d’ira e di gelosia, mi aveva lanciato un piatto causandomi un taglio in fronte.

Quando il giorno successivo tornai al lavoro, trovai la bicicletta nuovamente a terra. Stavolta non poteva essere stata l’usura. Mi fermai contromano per controllare trovando tagliato il filo di ferro e la bicicletta spostata verso il centro della strada, come per farla schiacciare. La recuperai per cercare di rimetterla a posto, e mentre ero intento a capire come fare un clacson mi fece sobbalzare. L’auto che aveva suonato frenò con tutto l’impeto e il rumore che poteva concedergli il modello. Mi voltai per capire che diavolo stesse succedendo trovandomi di fronte una donna che stava scendendo dall’auto lasciata in mezzo alla strada.
Sbraitava di lasciar stare la bicicletta di quel maledetto di suo marito. Mi si avvicinò fino a cercare di strapparmela di mano, cosa che non accettai.
Visto che non riusciva si buttò a terra piangendo sconsolata, con le mani comunque ben ferme su una ruota della bicicletta mentre io tenevo le mani sull’altra ruota. Mi cominciavo però a sentire strano con quella donna, che forse aveva più diritto di me su quella lapide laica. Non capivo perché la moglie avesse detto quello che aveva detto sul marito.
Non sapevo davvero cosa fare, fino a che scese dall’auto un’altra donna. Mi raccontò che sua sorella Margherita, così si chiamava la donna, dopo la morte del marito e dopo aver costruito questo monumento in suo ricordo, era venuta in possesso dopo molti mesi di un cellulare che il marito teneva in ufficio e che si erano dimenticati di riportarle. 
Sul telefono aveva trovato dei messaggi nei quali era esplicito che il marito, con la scusa del girare in bicicletta, in realtà andava a trovare un’altra donna, collega d’ufficio.
Lasciai la ruota come se scottasse.
Mi scusai con Margherita e le chiesi se voleva che fossi io a far sparire la bicicletta.
La sorella mi guardò facendomi capire che bastava così.
Tornai a casa e mi scusai con mia moglie.
Non avrei più fatto tardi in ufficio la sera.
Non ha mai capito il perché del mio cambiamento.

lunedì 27 luglio 2020

Turno di Notte 2020 - Cogito ergo sum

versione iniziata alle 10 del 25 e servita alle ore 3 del 26 luglio 2020
per il concorso "Turno di Notte"


Cogito ergo sum – Stefano Samorì

L'incipit di Carlo Lucarelli da cui proseguire nella scrittura: 
Ci sono desideri che sembrano impossibili, così grandi e così complessi, così difficili che figurarsi, e invece in un attimo, come per caso, si avverano.
E ce ne sono altri che sarebbero lì, a portata di mano, di dito, addirittura, e poi niente, via, svaniti, scomparsi.
E questo?
Qual era, cos’era, questo?

Svegliarsi rendendomi conto di essere nel buio totale non era stato piacevole.
Steso, sdraiato su una superficie morbida.
Silenzio totale attorno a me.
Sentivo solo il mio respiro.
Provai a muovermi ma non avevo molto spazio intorno. Le mani toccarono subito una superficie morbida, sembrava un cuscino, un esteso cuscino. Potevo sentire i bottoni che fermavano l’imbottitura.
Tutt'intorno sentivo solo imbottitura e bottoni.
Quattro angoli squadravano lo spazio attorno a me.
Provai a ruotarmi ma non avevo spazio sufficiente per farlo.
Non poteva essere che quello che ormai pensavo.
Non dovevo pensarci, era da impazzire affogato nella follia.
Come potevo esserci finito se non ricordavo di essere morto.
Nessuno ricorda di essere morto, del resto nessuno dovrebbe risorgere in queste condizioni.

domenica 14 luglio 2019

Turno di Notte 2019 - Ricordi




versione scritta e servita alle ore 5 del 6 luglio 2019
per il concorso "Turno di Notte



“Erano due, e un attimo dopo tre. 
Ma all'occhiata successiva, giusto il tempo di abbassare lo sguardo, non c’erano più”.
“E perché?”
“Non lo so. Non era la domanda più importante, in quel momento. Avevo una strana sensazione”.
“Preoccupazione? Inquietudine? Paura?”.
“No. Direi sollievo. Di più…felicità. Gioia”.
Come ci ero arrivato, mi chiederete?
“È una lunga storia”.
“Adalgisa era la più veloce, ma anche la più bella, e tutte le pattuglie la fermavano”.

Queste erano alcune frasi che qua e là avevo letto all'interno di un piccolo quaderno giallo trovato nella cantina dei nonni.
“Alessandro, andiamo a cenare che il nonno sai che non vuole si faccia tardi”.
“Ti ho già chiamato tre volte…” Mi disse ancora la mamma richiamandomi all'ordine.
“E non prendere in casa altri fumetti…” continuò, mi piacevano i vecchi Tex del nonno.
Sembrava mi avesse letto nel pensiero, dicendomelo.
Lasciai il vecchio quaderno, molto a malincuore, dove lo avevo trovato.
Cosa ci sarà scritto, chi lo avrà scritto, dove, quando… molte domande mi correvano per la mente mentre mia madre mi stava dicendo qualcosa…
“Come hai detto mammina?” cercando di essere servizievole.
“Passa il parmigiano al nonno che te l’ha chiesto da mezz'ora” mi rispose un po’ alterata.
“Su dai, lascialo respirare un po’, sto povero bambino, che è stato così bravo a scuola” intervenne, con mia somma gioia, la nonna.
La mamma sintonizzò lo sguardo su “poi facciamo i conti dopo”.
Ma i conti dopo non li facemmo, almeno quella sera.
Mi aspettavano gli amici al campetto di calcio per una nuova mitica partita, e la fuga immediata dopo cena impedì alla mamma di fare conti.

Il mattino dopo, tornai in cantina a rovistare. La cantina dei nonni era una miniera di materiale da scoprire, o di roba da buttare, diceva la mamma.
Che poi in parte aveva anche ragione, ma a dieci anni tutto quello che era più vecchio di me, sembrava mitico, come provenisse da un remoto passato che nascondeva misteriosi segreti.
Quel quaderno era molto più vecchio di me. Si capiva dagli angoli consumati della copertina. Dal tema raffigurato nella prima pagina. Dall’aroma che emanava, qualcuno avrebbe detto puzza, di polvere, umida e stantia.
Cominciai a leggere.
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“È una lunga storia”.
La mattina in cui mi catturarono era una bella mattina di gennaio, di quelle belle fredde, di quelle che la neve in collina arriva ai primi piani, di quelle che si starebbe meglio in una casa con il camino acceso, avendo la legna da bruciare.
Nel 1944 ormai di legna non ne era rimasta molta. Troppi inverni di ristrettezze e razionamenti ci avevano portati al disastro finale che si prospettava.
A noi renitenti alla leva non restava che la fuga nei boschi delle nostre colline. La pena era la fucilazione e tanto valeva fare qualcosa per cercare di liberarci.
La repubblica, perché poi chiamarla repubblica, di Salò e la linea Gotica, avevano congelato tutto il nord dell’Italia nell'attesa sfibrante di essere liberato.
A vent'anni non avevamo mezze misure, e fare il partigiano era meglio che fare il repubblichino. Certo non tutti la pensavano così.
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Mi fermai pensando a quello che leggevo. Di cosa stava parlando il quaderno? Chi erano questi partigiani?
Andai a chiedere alla mamma, che prima si lamentò del fatto che la storia a scuola non si fa più, poi che non aveva tempo e infine mi girò verso mio padre, che era al lavoro fino a sera…
Per questo l’unica era andare su internet e cercare.
Peccato che si trovasse di tutto, chi ne parlava bene e chi male. Chi parlava bene dei partigiani e chi ne parlava male.
Parteggiavo per i partigiani, ma forse era perché il protagonista misterioso lo era?
Tornai alla lettura del quaderno.
La storia si dilungava su diverse azioni compiute dal protagonista.
Era un diario di azioni pericolose, di nemici e amici morti.
Fino a che anche il mio “amico” fu catturato.
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E un giorno mi catturarono
Dopo un sommario processo, e dopo avermi picchiato per fare vedere che erano dei duri, senza che avessi detto niente, il capitano dei repubblichini mi condannò a morte.
Il mio gruppo aveva attaccato due camion di tedeschi e fascisti che erano appena stati a rastrellare un paesino vicino picchiando e facendo quello che volevano.
Inferiori di numero, dopo averli mitragliati e averne uccisi qualcuno e finito l’effetto sorpresa, eravamo dovuti scappare in fretta in tutte le direzioni.
Purtroppo, alcuni di noi erano stati catturati.

Quella mattina del gennaio del 1944, ero davanti a un quartetto d’italiani vestiti di nero, magari con qualche strappo ai vestiti, che ormai eravamo alla fine della storia.
In tre mi puntavano contro i loro moschetti. Il quarto, poco più anziano ordinava.
Al primo sparo, due moschetti scoppiarono mentre il terzo fallì il bersaglio.
Non sentii neanche il sibilo sfiorarmi. Se volevano spaventarmi, con quei due scoppi, a loro insaputa lo avevano fatto.
Dopo una serie di bestemmie che pronunciarono in coro, pur diverse tra loro, che tanto erano già destinati all'inferno, andarono a prendere altri moschetti che avevano dentro la baracca lì a fianco.
Mi venne quasi da ridere, ma vista la situazione, cercai di stare serio.
“E perché?”
“Non lo so. Non era la domanda più importante, in quel momento. Avevo una strana sensazione”.
“Preoccupazione? Inquietudine? Paura?”.
“No. Direi sollievo. Di più…felicità. Gioia”.
Sapete quella sensazione che avete in cui siete certi che il prossimo numero che estrarranno vi garantirà di fare tombola?
Quella gioia.
Si rimisero in fila, due che erano ancora tutti neri dell’esplosione avvenuta prima che non so neanche se ci vedessero bene, con i nuovi fucili, assieme al “cecchino” di prima.

Che poi non è che dovessi lamentarmi della mancata organizzazione, del resto era sempre stata un po’ così anche in tempi migliori, non potevano certo arrivare tutti i treni in ritardo neanche allora.
“Pronti, attenti, via…” ci fu una grossa esplosione e non riuscirono a fare altri spari.
Uno scomparve disintegrato, gli altri volarono via, “Erano due, e un attimo dopo tre. Ma all'occhiata successiva, giusto il tempo di abbassare lo sguardo, non c’erano più”.
Anch'io caddi indietro spinto dallo spostamento d’aria, quasi illeso, a parte una ferita a una gamba e un’altra a un braccio.
Uno del plotone di esecuzione, andando indietro doveva aver premuto un qualche ordigno che era rimasto inesploso fino a quella mattina.
Non era rimasto molto dei quattro ragazzi che volevano fare il bene dell’Italia.
Un po’ mi dispiaceva comunque, per com'erano arrivati a pensare che quella fosse la strada giusta da percorrere.
Adalgisa arrivò per prima con la sua bicicletta pensando che fosse oramai successo l’irreparabile.
Subito dietro di lei arrivarono gli altri compagni, armati e decisi a liberarmi.
“Adalgisa era la più veloce, ma anche la più bella, e tutte le pattuglie la fermavano”.
Lo diceva sempre il nostro capitano. È perfetta per distrarre le pattuglie. La perquisiscono ogni volta inutilmente mentre altre passano senza farsi notare e portano ordini.
“Non è niente di grave, non ti preoccupare” le dissi.
Aveva uno sguardo preoccupato ma felice nel medesimo momento.
“Devo dirti una cosa Antonio” Antonio ero io.
“Che succede d’altro” le dissi preoccupato.
“Aspettiamo un bambino e lo voglio chiamare Licinio”.
“Licinio?”
“Ma come ti viene in mente di chiamarlo Licinio?”
Le risposi, come se non fossi sorpreso, scherzando sul nome che in realtà piaceva anche a me.
“Brutto… coso… che non sei altro, sono incinta e adesso devi fare il tuo dovere, e il nome lo scelgo io”.
Disse abbracciandomi e baciandomi facendomi anche provare un gran male al braccio ferito con la stretta.
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Licinio!
Ma, è il nome del nonno…
Quello che vuole sempre cenare alle 18:30.
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“È una lunga storia”.
Mentre eravamo abbracciati Ada ed io, e assieme ai miei compagni festeggiavano lo scampato pericolo, sentimmo arrivare un camion da dietro la curva che dava nella cava dove eravamo.
I camion li avevano solo i tedeschi, se trovavano carburante per farli viaggiare.
E, infatti, non facemmo in tempo a scappare che il camion arrivò.
La sparatoria che ne scaturì vide la morte di metà dei miei compagni e la cattura degli altri.
Ne uccidemmo molti anche noi, ma la consolazione era molto magra.
Persi di vista Ada.
Fummo deportati in un campo di concentramento dopo un viaggio durato giorni su un carro bestiame.
Il campo era in Polonia
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Il bisnonno continua descrivendo situazioni che non possono essere accadute. Persone lasciate morire di stenti, la caccia ai topi per nutrirsi, forni in cui erano bruciati i cadaveri, camere in cui erano uccise persone con gas…
Non possono essere successe queste cose.
Il solito internet mi dovrebbe fornire maggiori informazioni. Ma anche questa volta trovo di tutto, anche chi dice che queste cose non sono mai successe.
Perché il bisnonno dovrebbe mentire nel suo diario?
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Finalmente tornammo a casa. L’Italia aveva perso la guerra. Il fascismo era stato sconfitto. I treni continuavano come prima a fare come potevano.
Ritrovai Adalgisa. Era riuscita a scappare e non l’avevano catturata. Era davvero veloce in bicicletta. Il mio Licinio mi aspettava con lei.
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Andai da mamma per farle vedere il quaderno che avevo ritrovato in cantina in mezzo ai tanti fumetti del nonno.
“Mamma, guarda cosa ho trovato in cantina”.
La mamma stava per sgridarmi, ma si fermò quando vide la copertina del quaderno.
Lo prese e lo accarezzò, come se avesse ritrovato un vecchio amico.
“Va bene, Alessandro, adesso parliamo dei bisnonni Antonio e Adalgisa.

domenica 28 settembre 2014

Turno di notte VI Edizione (2014)


Dall'incipit (in rosso) dovevamo continuare a scrivere un racconto compiuto in un massimo di 4500 battute.
Di seguito il mio racconto scritto nella notte del 6 settembre 2014.

Quando la vide dalla finestra, nell'appartamento soltanto al di là della strada ma così lontana, già con la borsetta in mano, troppo distante per raggiungerla prima che potesse uscire e sparire, non poté fare altro che fermarsi e stringere la pistola, a rischio di farsi partire un colpo in tasca.
Un errore. Un numero in più, o in meno.
Lo avevano mandato nella casa sbagliata.

Adesso doveva scappare. Scappare a perdifiato. Scappare lontano per non essere raggiunto.
Sapeva quel che sarebbe successo adesso.
Lui, Nick, sarebbe diventato la preda.
Le regole prevedevano questo.
Art. 3 del regolamento di “12 ORE”: “Nel caso la tua preda ti sfugga nelle dodici ore, ne prendi il posto per le prossime dodici ore”.
La ragazza era troppo lontana e ormai irraggiungibile e se non l'avesse freddata entro un quarto d'ora il suo tempo sarebbe scaduto.
Poi per altre dodici ore non ci sarebbe stato altro che fuggire, con qualcuno, che lo avrebbe braccato.
Il suo inamovibile bracciale al polso era ancora acceso sul verde, il colore del cacciatore.
Dopo sarebbe stato indicato seguito e monitorato da uno spettatore estratto (il navigatore) il cui unico scopo sarebbe stato quello di farlo uccidere e vincere il grosso premio conseguente.
Nick era arrivato quasi alla sua preda, un solo numero civico errato lo portava da una ricca vincita e conseguente fine del suo gioco, a rischiare tutto, compresa la sua vita.

La ragazza era ormai sparita, il tempo era concluso e nel bracciale il led acceso adesso era il rosso. Questo gli confermava che era diventato preda.
Adesso non esisteva altro che fuga e difesa.

lunedì 29 luglio 2013

Turno di notte V Edizione - 2013

Beh, questa cosa è decisamente strana. Sono in fila alla cassa del cinema per fare il biglietto, quando d'un tratto mi si avvicina un tipo mai visto con la faccia più arrabbiata del mondo. E ringhia "Hai un bel coraggio a venire qui, Andrea!" "Eh?" dico io, mentre le altre persone in fila ci guardano perplesse. "Aspetta che Roberto scopra che sei qui, e poi vedrai" ruggisce il tipo, arrabbiatissimo. E poi scompare a passo svelto. Ora, ho due domande nella testa. Chi è Roberto? E, soprattutto, chi diavolo sarebbe Andrea? Io no di sicuro.

Da questo incipit dovevamo continuare a scrivere un racconto compiuto in un massimo di 4500 battute.
La particolarità di questo concorso letterario è di essere unico nel suo genere (per quanto ne so io, ne esisteva solo un altro simile fino a pochi anni fa che si chiamava "Scritto in una notte").



Per comodità copio e incollo :
 "I racconti dovranno essere sviluppati da un incipit appositamente scritto anche quest’anno da Gianluca Morozzi, che verrà comunicato verbalmente ai presenti alle ore 22:00 del 06/07/2013 e contemporaneamente diffuso in rete sul sito di riferimento del concorso www.officinewort.it. Gli elaborati dovranno essere consegnati o inviati a mezzo e-mail entro le ore 5:00 del 07/07/2013."

E continuo con il c/i :
"Chi vorrà essere fisicamente presente potrà trovarsi con gli altri partecipanti sabato 6 luglio 2013, alle ore 21:30 (ma se arrivate prima ci scappa una bottiglia di vino e qualche chiacchiera) presso l’Azienda Vitivinicola Gandolfi (Via Loreta Berlina 1/2 Dozza Imolese - Bo ) mentre tutti quelli che non riusciranno ad essere presenti di persona, potranno partecipare scrivendo in contemporanea dal luogo in cui si trovano."


E' un gran bel concorso anche per i premi in palio (12 bottiglie di ottimo vino dell'Azienda Vitivinicola Gandolfi) al primo e a seguire per gli altri premi simili.
L'atmosfera della scrittura collettiva fatta sul luogo è parte del divertimento, ma quest'anno non sono riuscito ad essere presente.

Sono tre anni che partecipo e questo è il risultato della fatica notturna di quest'anno (e non sono tra i vincitori ).
Con il tempo pubblicherò anche le altre partecipazioni...



Noto allora la presenza di una ragazza all'estremità opposta della sala biglietteria del piccolo cinema. Estrae una pistola e la punta verso di me. “Andrea !!!” e spara solo un attimo dopo che io mi sono buttato a terra. Il colpo è silenzioso e si conficca contro la parete alle mie spalle. La ragazza intanto si avvicina ma l'uomo che mi aveva aggredito poco prima le arriva alle spalle e le spara all'altezza del cuore, uccidendola sul colpo. L'uomo mi urla “Vattene”. Nel frattempo la mia ragazza, Monica, ritornata dalla toilette, assiste alla scena. Mentre una donna grida. Grida con tutto il fiato che ha in corpo : “Aiutooooooo, aiutooooooo”. “Ma che cosa sta succedendo Stefano ?” Mi chiede Monica.