sabato 23 gennaio 2016

Tempi

Tempi

1938
Giuseppe Rossi guardava fuori dalla finestra della cucina di casa sua.
Impaurito da quello che succedeva in piazza. In"Piazza Impero Italiano d'Etiopia”.
I suoi genitori erano dietro di lui e guardavano atterriti il pestaggio che stava avvenendo poco lontano da loro.
A 8 anni certe cose non si capivano, e certo non poteva capire quello che stava accadendo, ma comprendeva, comprendeva bene che stavano facendo molto male a quel ragazzo di vent'anni.
Il ragazzo, a terra subiva pugni, calci, sputi. Quegli uomini vestiti di nero urlavano, sbraitavano di tutto. Come scimmie il branco alimentava la propria rabbia. Gli dimostravano tutto il loro disprezzo e lo facevano capire anche a tutte le brave persone che guardavano. Alcune imbarazzate, altre divertite, altre...indifferenti.
I genitori commentarono con una parola, qualcosa che il piccolo Giuseppe non aveva mai sentito. Sussurravano ”...invertito”, o qualcosa del genere.
L'aggressione finì solo quando arrivò la mamma del ragazzo. Si mise in mezzo prendendosi anche lei qualche ultimo schiaffo.
Ma tanto bastò per farli smettere "...ti lasciamo alla mammina, ma non ti fare più vedere in giro a disturbare i veri uomini... ti lasciamo con la mammina..." il loro linguaggio era povero, e giù risate.
Giuseppe di quell'età avrebbe ricordato poco di più di quel solo episodio. Il piccolo paese dove abitavano era al centro di niente, nel bene ma sicuramente nel male.
E di “Invertito” aveva capito che non era una buona cosa, anche se ancora non sapeva cosa volesse dire.
Il ricordo dei genitori, che ne parlavano facendosi il segno della croce, gli rimase per molto tempo.


1955
“puttana, puttana, puttana,...”
Giuseppe sentendo le urla entrare in casa dalle finestre aperte, si affacciò guardando cosa stava accadendo.
 “puttana, puttana, puttana,...” continuavano alcuni ragazzi poco più grandi di lui seduti all'osteria. Solo uomini in quel periodo.
Ce l'avevano con una ragazza che stava attraversando la piazza. Lei noncurante si era fermata guardandoli da lontano.
Li sfidava.
E loro continuavano a urlare sempre più numerosi e sempre più forte. Era la rabbia di quelli che disprezzano perché non possono avere.
Giuseppe guardava dalla finestra, come stavano facendo un po' tutti quelli che avevano casa in piazza, diventata “Dei Martiri Antifascisti”.
Capiva il motivo. Erano uscite anche pubbliche prese di posizione riguardo all'argomento.
Vescovi, politici, per motivazioni diverse, tutti contro le donne con i pantaloni.
E al paesello di Giuseppe, un po' per moda, un po' per vanità, la prima ragazza con i pantaloni era arrivata. Ma non era piaciuta.
Lo scandalo era stato grande. Il pantalone rispetto alla gonna fino ai piedi, faceva intravvedere le forme delle donne che lo indossavano.
Arrivarono i carabinieri che si misero tra la ragazza e i ragazzotti scemi. Dopo averle consigliato di andarsene per evitare problemi tutto si sistemò.
Giuseppe rimase a guardare.
I genitori commentarono “dove andremo a finire, anche le donne con i pantaloni ?”
Lui non disse niente, non voleva passare come una persona cattiva.


1958
La maggiore età allora si raggiungeva a 21 anni, e Giuseppe non avendola ancora raggiunta non poteva accedere alle, cosiddette, “case chiuse”.
Ma questo non impediva a molti suoi amici di frequentarle, magari passando da porte di servizio, magari anche solo per fare, come si diceva allora, “flanella”, cioè nulla.
Si narrava però che qualche volta ci poteva scappava un servizietto di mano. Per accontentarli le ragazze poco più vecchie di loro, lo facevano, si diceva. Sicuramente li schifava di meno che farlo con altri clienti. C'era quindi una gara a cercare di arrivare al fatto, con piccoli servigi, con qualche moina, per potersi poi vantare con gli amici di esserci riusciti.
Giuseppe però non era interessato e con la scusa della minore età e della mamma che lo sconsigliava “lo dice sempre anche il parroco”, accontentava genitore e propri istinti.
Certo qualcuno metteva in dubbio che gli piacessero le donne... e gli tuonava in testa “invertito”.
“Ho una fidanzata al paesello vicino, e le ho promesso che fino al matrimonio non lo farò con nessuno”.
Come scusa lo metteva in ridicolo di fronte agli amici, ma sempre meglio che far pensare loro, anche solo per un solo attimo, ad altre motivazioni.
Questa situazione si concluse presto, in quell'anno le case chiuse vennero chiuse davvero. Nella piazza del paesello diventata “Piazza Sputnik”, si liberò la palazzina. Rimase invenduta e inabitata per molti anni.

1969
Giuseppe viveva ancora con i suoi, molto preoccupati della sua sorte, genitori.
In quel periodo a 38 anni non essere sposati non era come dire "sono single". Non era figo dirlo.
Era invece quasi un marchio di infamia. Eri uno zione, che non era un bel modo di essere descritto.
E qualcuno cominciava anche a chiedersi cosa piacesse a questo strano uomo.
Giuseppe però non dava segni particolari. Era molto riservato, lavorava come operaio presso una piccola azienda che produceva maglioni. Unico uomo tra tante donne.
Gli amici ammiccavano e lo aspettavano fuori dalla fabbrica. Sposati ma curiosi di conoscere le colleghe più giovani che ormai vestivano con la minigonna e non temevano di parlare di sesso.
La rivoluzione sessuale e sociale oltre che economica aveva investito anche il paesello.
In piazza, diventata "Piazza Jan Palach" ormai i vecchi bar erano cambiati. Frequentati da ragazzi e ragazze chiassose.
E alla fine dell'anno Giuseppe si decise, anzi meglio dire, fu quasi costretto, a fare il grande passo. I genitori, tramite un sensale, gli avevano trovato una ragazza "di buona famiglia" di un paesino sperduto dell'entroterra.
Di quindici anni più giovane.
In piazza, quella domenica del 14 settembre 1969, arrivò il momento di essere protagonista.
Lo inondarono di riso mentre usciva dalla chiesa.
Gli amici invidiosi della giovinezza della ragazza.
Si sposò come tradizione voleva.

1993
La moglie di Giuseppe lo stava lasciando. Il divorzio era ormai una pratica comune e lui non si oppose.
Non avevano avuto figli.
La moglie se ne andò volentieri, ma sperando fino alla fine che gli avrebbe detto di rimanere. Dopotutto era arrivata a questa conclusione, come misura per scuotere il proprio marito, non per partire davvero.
Gli voleva bene, era un marito buono e rispettoso, forse troppo ma questo non le bastava.
"Non facciamo più l'amore da anni...
...non ti interessa che esca con altri uomini...
...non, non, non..............."
Non era vero che andava con altri uomini, ma il fatto che non gli interessasse, che non fosse geloso, furono la goccia che la fecero decidere.
Lei era ancora piacente e voleva vivere un po' al di fuori di quel paesino lontano da tutto.
"Giuseppe, ti manca qualcosa, e non sono io che posso dartela" infine le disse prima di chiudere la porta.
Lui la guardò andarsene via. La guardava mentre attraversava la piazza, diventata "Piazza dell'onestà". Una piazza illuminata in quella notte di addio.

2006
EPILOGO
Ormai solo e anziano Giuseppe continuava a guardare attraverso i vetri del suo piccolo appartamento. Guardava la vita degli altri scorrere nella piazza paesana.
Dei vecchi negozi, del barbiere con le pareti verdi, del calzolaio, del..., del, del.......
Niente era rimasto come una volta.
Forse tutto quello che lo avrebbe potuto condannare non c'era più, pensò.
Forse era venuto il momento per... ?
Aveva tenuto gelosamente nascosto un oggetto per tanti anni. Con grande ardimento, di cui non ricordava altro momento, lo aveva comprato in un negozio di una lontana città dicendo alla commessa che lo avrebbe regalato alla fidanzata.
La commessa lo aveva guardato annuendo senza ascoltarlo.
Ma aveva avuto bisogno di dirlo, come a giustificare la propria decisione.
“invertito” era ancora nei suoi pensieri, quasi non ricordava i volti dei personaggi di tanti anni prima, ma quella parola, ormai senza futuro, gli era rimasta addosso.
Lo aveva tenuto nascosto senza regalarlo a nessuna donna, senza volerlo regalare a nessuna donna.
Con il terrore che esibirne il risultato lo avrebbe marchiato, ma ancor di più terrorizzato di doversi rendere conto di essere quello che era.
Fino a che il giorno era arrivato.
Fino a che il coraggio era arrivato.
Andò nel piccolo bagno, si mise davanti allo specchio, estrasse il rossetto ormai quasi inservibile tanto vecchio come era, e se ne passò uno strato smunto sopra le labbra.
Il cuore gli batteva all'impazzata, come se qualcuno potesse vederlo, potesse capire che quel gesto era consapevole, voluto, desiderato... peccaminoso.
Si guardò allo specchio. Un uomo anziano, con pochi capelli bianchi, le grinze e le rughe dell'età. E le labbra arrossate seppur malamente.
E sorrise. Un sorriso di gioia, di finalmente sono riuscito a farcela, di un uomo che da ultimo poteva esprimersi come più desiderava.
L'adrenalina era tale che decise di fare il passo successivo. Uscire. Con quel poco di rossetto sulle labbra smunte.
E "Piazza Giovanni Paolo II” lo accolse.

2020
POST EPILOGO.
Funerale di Giuseppe. La piazza è agghindata da tante bandiere.
Tanti uomini sono lì per lui. Tante donne sono lì per lui.
Tante persone sono lì per lui.
La chiesa è piena e la piazza anche.

La piazza con il nuovo nome “Piazza Giuseppe Rossi “.

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