domenica 2 luglio 2017

Ricordi Farciti

Ricordi Farciti

versione scritta e servita nelle 5 ore del 22 aprile 2017
del concorso  "Premio Letterario Città di Castel San Pietro Terme"


La piazza era come la ricordavo.
Era da tanto che non mi recavo più in quel comune in cui avevo lavorato tanti anni prima.
Mi erano rimasti solo i buoni ricordi.
Abbiamo un fantastico meccanismo del nostro cervello, che ci fa dimenticare le preoccupazioni e le angosce passate, oggi dissolte e derubricate in esperienze di vita.
Poi ci sono le persone che hai conosciuto, alcune speciali e altre di cui hai dimenticato perfino l’esistenza.
Si dice sempre che “ci rivedremo”, “verrò a trovarvi”…, ma poi la vita ci porta verso altri lavori, altri colleghi e verso altre situazioni, mentre il tempo passa, e quando ti rendi conto che sono passati dieci anni, capisci che è assurdo andare a trovare persone che hai dimenticato, come loro hanno dimenticato te.
Corri solo il rischio che capita a certi pensionati che tornano a trovarti sul luogo di lavoro, commoventi nel cercare di interpretare l’ormai perduto ruolo che avevano scambiato, per l’agognata ma noiosa, vita da pensionati.
Comunque ero tornato per un concorso di scrittura in diretta. Armato di pc e mouse e per cinque ore scrivere un racconto da zero, parlando del paese che ci ospitava.



Il concorso di scrittura iniziava alle nove di quel sabato mattina.
Non essendoci ancora tutti mi trovavo ad attendere davanti all’ingresso del municipio.
Il medesimo giorno nella piazza di fronte al municipio era prevista una manifestazione importante.
Mentre aspettavo, non potevo che notare il brulichio di persone e furgoncini che portavano materiale, affiggevano manifesti, puntellavano pannelli. Alcuni stavano allestendo stand e gazebo.
In un angolo della grande piazza si trovavano gli orchestrali di una banda. Stavano preparandosi per un concerto. Più tardi li avremmo sentiti suonare una marcia, ma forse solo per fare delle prove.
Il campanile posto di lato suonava in ritardo.
Mamme portavano a spasso bambini dentro passeggini.
L’attesa si stava prolungando e le attività nella piazza continuavano a rendermi meno tediosa l’attesa.
Fino a che a un certo punto la vidi. Dopo tanti anni non era cambiata. Non l’avevo più incontrata da allora e forse, ricordando tutto quello che era successo, era stato meglio così.
Lei non mi aveva visto, indaffarata mentre correva in giro per la piazza dando indicazioni e spostando materiali.
O forse mi aveva anche visto, ma dissimulava. Non saprei dirlo.
Non avevo conservato neppure il telefono. Era un’entità astratta in quel momento. Rediviva. Lavorante in mezzo a tanti altri. Desiderosa di rivedermi, speravo, oppure no.
Intanto il concorso stava per iniziare e dovevo lasciarla un’altra volta, per entrare nel sotterraneo isolato che ci avrebbe accolto per qualche ora.
Quando mi misi a scrivere mi accorsi di non poter scrivere d’altro se non dell’ex-collega ritrovata, o almeno rivista.
I ricordi vivono per chi non riesce a crearne altri, un po’ come si dice che o si vive la vita o se ne scrive.
Volevo scegliere un po’ e un po’.

La banda intanto sentivo che suonava fanfare e marcette, infine pure l’inno d’Italia, quasi da mettersi sull’attenti come quando facevo il militare.
Nella pausa caffè mi trovai con la piazza gremita di persone desiderose d’intrattenimento, di mangiare piadine con prosciutto e formaggio e di ascoltare e godere della bella giornata di sole emiliano.
Ma lei non c’era più.
O forse non la vedevo dispersa tra le tante persone che affollavano il luogo.
O forse l’allestimento era finito ed era tornata alle proprie attività all’interno del palazzo comunale.
O forse era andata a cercare il mio numero di telefono salvato in una qualche vecchia agendina di quelle tante che le donne scrivono e riempiono di ricordi. Molto forse.
Rimanevano belle fantasie e buone speranze per uno speranzoso aspirante scrittore.

La mattinata stava scorrendo via tra incipit scartati e speranze malriposte. La concentrazione latitava mentre la mente si perdeva in viaggi nel ricordo.
E se mi telefonasse? Pensavo mentre scrivevo. Il sabato di scrittura avrebbe potuto finire in modo inaspettato?
Un collega scrittore mi stava dicendo che nel sotterraneo non c’era campo. Un’assurda angoscia mi stringeva lo stomaco.
Se mi chiamasse adesso, non mi troverebbe. Poi qualche trillo del cellulare mi rinfrancava. Il telefono funzionava. Problema è che non mi chiamava. Che poi, perché dovrebbe farlo proprio oggi, rispetto a ieri, che neanche mi ha visto.

Alla fine del concorso, dopo che Lei non mi aveva cercato, dopo averne scritte e pensate tante e dopo tante ore di editing sul mio capolavoro, si era fatta l’ora di andare via.
All’uscita dal palazzo, ormai provato dalla mattina di concentrazione e digitazione sulla tastiera, non avevo più altro pensiero che di andarmene.
La piazza si era svuotata dalle persone. Erano rimaste solo le strutture vuote in attesa della più intensa sessione serale di festeggiamenti.
Solo qualche bambino giocava a palla.
Solo qualche anziano si aggirava, modello umarell, cercando qualcosa da criticare.
L’orologio del campanile era sempre in ritardo.
I profumi della salsiccia ai ferri invadevano l’aria fresca di aprile.
E mentre ammiravo questa poesia di tranquillo sabato pomeriggio, eccola che Lei esce dal palazzo. Probabilmente avrà finito il proprio turno di lavoro.
Non può non vedermi. Non c’è nessuno tra noi. E, infatti, mi vede.
La saluto. Mi saluta. Ciao. Come va. Bene. Ciao. Devo andare. … Ciao. …
I ricordi andrebbero lasciati, dove stanno.
O raccontarne, ma farciti.

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